di Enrico Pusceddu
La storia dell’arte sarda è una disciplina molto recente e lo studio delle sue peculiarità pittoriche non riesce ancora ad avere un giusto peso internazionale (prescindendo dalle ovvie connessioni con l’arte catalana), perché ancora mancano adeguati studi di contestualizzazione mediterranea del fenomeno e, soprattutto, perché il catalogo del suo patrimonio artistico medievale è ancora troppo limitato perché possa avere un adeguato eco in ambito scientifico.
Della storia dell’arte sarda, tranne rare incursioni, si sono occupati prevalentemente gli storici sardi di nascita o d’adozione. La storia dell’arte del resto d’Italia, apprezzata e studiata in tutto il mondo ha, di fatto, sempre seguito un percorso parallelo senza che nessuno tra gli studiosi della penisola si affacciasse, se non estemporaneamente, alle questioni isolane. Sull’altro versante del Mediterraneo, i colleghi catalani riuscirono, a partire dagli anni Ottanta del Novecento, a dare un impulso decisivo alle loro ricerche producendo una variegata quantità di studi scientifici di fondamentale supporto per gli storici d’oltremare.
Ancora oggi, quindi, pare valere la regola non scritta che vede la storia dell’arte sarda studiata dai sardi, la storia dell’arte catalana studiata dai catalani, la campana dai campani e così via. Ci si muove su strade parallele che raramente s’incrociano, e quando questo avviene è solo in forma estemporanea. Particolarmente efficaci possono risultare alcuni esempi per comprendere meglio il concetto, seppur estremizzato e generalizzato, di un’impermeabilità degli studi storico-artistici nazionali. Nel volume Pintura Gótica Catalana di Josep Gudiol e Santiago Alcolea i Blanch, uno dei capisaldi della bibliografia artistica medievale catalana, si riuniscono tutte, o quasi, le notizie di opere e autori catalani del XIV e XV secolo disponibili nel 1986-87. Uno sforzo enorme per un’opera cruciale. Ebbene, tra le centinaia di opere trattate, non se ne trova neanche una sarda, o meglio, catalana in Sardegna. Tutta l’Isola viene esclusa. Nessun artista catalano che abbia lavorato esclusivamente in Sardegna viene citato.
È evidente che alla base vi è una scelta, un’impostazione di lavoro. La stessa che porta, continuamente, gli storici dell’arte ad affidarsi agli studi dei colleghi d’oltremare per le notizie su autori e opere dislocate fuori dai propri confini regionali. Sono un’assoluta rarità le ricerche sul campo di storici catalani in Sardegna e di storici sardi o italiani in Catalogna. Questo percorso di ricerche parallele e impermeabili comporta tutta una serie di conseguenze negative che si riflettono sui lavori degli storici.
Gli effetti di questa modalità operativa emergono, dal punto di vista critico, dall’osservazione delle rispettive bibliografie su temi comuni, poiché le informazioni acquisite dagli studi "stranieri" vengono perlopiù accolte senza che vi sia nessun apporto critico rispetto ad esse. Manca, insomma, una sana e proficua invasione di campo per i temi condivisi in differenti aree.
È d’altronde paradigmatico il caso del corposo articolo di Foiso Fois sul Maestro di Castelsardo, pubblicato a Barcellona nel 1983 e praticamente ignorato dalla bibliografia sarda fino al 2006, così come risulta emblematico che ad oggi in nessuno dei cataloghi delle biblioteche universitarie barcellonesi, comprese le specialistiche, si trovi il più importante testo scientifico dedicato alla pittura sarda del XV e XVI secolo (Renata Serra, Pittura e scultura dall’età romanica alla fine del ’500, schede a cura di Roberto Coroneo, Nuoro, 1990).
Questa impostazione storiografica risulta evidente nell’ultimo lavoro di contestualizzazione della produzione artistica catalana, i corposi volumi dell’Art Gòtic a Catalunya. Dei tre testi dedicati alla pittura, il più recente (2006) accoglie un intero capitolo dedicato alla produzione in Sardegna. Ebbene, pur essendo magistralmente scritto da Maria Grazia Scano, una delle massime esperte della storia dell’arte sarda, il capitolo appare come un corpo isolato rispetto al contesto. La struttura editoriale e storiografica l’accoglie non come una componente dell’indivisibile panorama catalano, ma bensì come un’appendice dello stesso.
Identica sorte spetta al paragrafo dedicato al Maestro di Castelsardo, di cui già la Scano tratta approfonditamente. Questo importante contributo, scritto da Miquel Mirambell i Abancó, offre un efficace stato della questione sul tema ma, ancora una volta, non riesce ad uscire dallo schema che vede la separazione tra le "opere sarde" e le "opere catalane" dipinte dal Maestro. Pare, inverosimilmente, impossibile riunire due mondi che in origine erano solo le due facce della stessa medaglia. Le influenze fiamminghe, italiane, catalane o valenzane, che di volta in volta scopriamo, ad esempio, nella pittura del Maestro di Castelsardo sono il frutto di un’epoca che non conosceva frontiere "culturali" definite ed invalicabili. Nelle grandi e piccole città portuali il tessuto sociale era variegato e multietnico, si parlavano lingue e dialetti differenti, si compravano e scambiavano prodotti di ogni genere e di ogni provenienza, viaggiavano gli uomini ma ancor più viaggiavano le merci.
Religione, affari e denari erano un unicum per le categorie sociali attorno a cui ruotava la maggior parte del mercato artistico tardo-quattrocentesco: mercanti, nobili e clero dinamicamente si muovevano e facevano muovere le opere d’arte. L’idea del viaggio, del movimento, della multiculturalità è una costante nell’opera del Maestro di Castelsardo, che attinge da modelli figurativi europei, li interpreta e li diffonde; le sue opere si trovano nei luoghi più lontani, i suoi temi iconografici ripercorrono le tradizioni più auliche così come le più popolari.
Per tutti questi motivi il nostro artista non può essere considerato un pittore marginale e regionalmente collocabile, ma lo si deve “studiare” con un approccio quantomeno mediterraneo. Il voler vincolare la sua attività ai confini sardi, inerpicandosi verso improduttivi dibattiti sulle sue possibili ascendenze iberiche, fiamminghe o italiane, non sembra tener conto dei pochi dati certi di cui disponiamo. Si deve partire dal presupposto che la cultura figurativa che ha prodotto le sue opere non è identificabile territorialmente, se non in macro aree geografiche di riferimento artistico. Per tutti questi motivi risulta fondamentalmente improduttivo impostare gli studi su questi soggetti secondo ambiti definiti dalla storiografia contemporanea. È invece necessario un approccio più aperto rispetto al tema delle competenze territoriali che tanto limita gli studi storico-artistici dei nostri giorni.
Estratto, senza le note, dalla tesi di dottorato presso l’università di Barcellona: Enrico Pusceddu, Joan Barceló II (già Maestro di Castelsardo): questioni di pittura in Sardegna intorno al 1500, pp. 47-51.
Ringraziamo l’autore per la cortesia di averne autorizzato qui la riproduzione.