di Paola Manca
Francesca Sanna Sulis, nobildonna di Muravera – riscoperta da un appassionato studio di Lucio Spiga pubblicato nel 2004 – è stata un’intraprendente donna d’affari dalla mentalità illuminata nella Sardegna del Settecento, a lungo amministrata da G.B. Lorenzo Bogino, ministro per gli Affari di Sardegna di Carlo Emanuele III. Nata a Muravera (SU) nel 1716 in una famiglia di ricchi possidenti – il padre Francesco Sulis apparteneva ad una potente famiglia del Sarrabus, la madre Caterina Porcella era una nobile di Quartucciu (CA) – Francesca ricevette un’educazione aperta, con a disposizione i libri di una ricca biblioteca e venne coinvolta nella gestione delle proprietà di famiglia a Muravera e Quartucciu, fino a quando, morto il padre, il fratello maggiore non si occupò direttamente dell’amministrazione dei beni.
di Vincenzo Medde
La lunga gestazione del Piano di rinascita – dodici anni, dal 1950 al 1962 – è dovuta anche ai limiti di capacità progettuali e realizzatrici della classe dirigente sarda, come rilevava la delegazione dell’ufficio di studi economici della società milanese Edison-Volta dopo una visita-indagine in Sardegna. «Non ci è sembrato di trovare quel fervore di iniziative in campo tecnico, di studio, di indagini, che dovrebbero procedere in parallelo con le pressioni al livello politico per ottenere una rapida e soddisfacente formulazione delle legge per il piano. Non si è avuta l’impressione che ci sia una macchina operativa corredata da un ben fornito “armadio di progetti”. Ci è sembrato che tutto resti subordinato alle discussioni politiche e che l’attività si mantenga esclusivamente al livello politico».
Il problema della proprietà della terra era sentito ad Arborea da ben prima della pubblicazione della Legge Stralcio del 21.10.1950 sulla creazione della piccola proprietà contadina. In realtà, tutti i mezzadri che si erano stabiliti nella bonifica erano convinti che la terra sarebbe diventata loro dopo un certo numero di anni nonostante non esista un documento che parli di questa possibilità. Ai mezzadri erano note infatti le affermazioni del primo presidente della Società Bonifiche Sarde ing. Dolcetta, il quale, secondo un delegato sindacale, ancora nel 1926, in una sua relazione al Governo sui lavori di trasformazione agraria della zona di Mussolinia, avrebbe affermato che «il fine che si proponeva la SBS era il miglioramento costante delle condizioni di vita sotto l’aspetto igienico, demografico economico e sociale, dei lavoratori, cui per diritto di natura competeva la proprietà della terra che trasformavamo»1.
di Vincenzo Medde
Nel 1918 nella piana di Terralba in provincia di Oristano ebbe inizio un grandioso progetto di ristrutturazione del territorio con l’obbiettivo non solo di risanare un terreno paludoso, malarico e quasi disabitato, ma anche di renderlo produttivo tramite opere integrate di canalizzazione, irrigazione, trasformazione agraria e colonizzazione. Il piano ambiva altresì a proporre un’organizzazione della produzione che fosse di modello per l’intera economia agraria della Sardegna. Promosso inizialmente da Felice Porcella, sindaco e deputato socialista di Terralba, tale progetto fu messo a punto e realizzato da Giulio Dolcetta, ingegnere vicentino, come proiezione sarda di un piano di riformismo meridionalistico che, a mezzo di sbarramenti, dighe, distribuzione dell'energia elettrica, dissodamenti, irrigazione, nuove tecniche colturali, avrebbe dovuto innescare un processo di sviluppo tale da colmare il dislivello tra regioni meridionali e settentrionali.
di Carla Cossu
Abele Saba è un “triangolo rosso”, colore destinato, nella iconografia dei lager, agli oppositori politici, agli antifascisti, ai partigiani, agli operai delle fabbriche che, fra il ‘43 e il ‘44, organizzarono gli scioperi nelle zone industrializzate del Piemonte, della Toscana e della Lombardia, in fabbriche come la Pirelli, l’Alfa Romeo, la Breda, l’Ercole Marelli, la Falck, la Innocenti, l’Isotta Fraschini, la Dalmine e altre.
di Vincenzo Medde
L’abbandono delle coste e delle terre più fertili della pianura aveva quindi causato nel corso dei secoli il calo consistente delle attività agricole e il conseguente e progressivo ripiegamento verso lo stato pastorale, sicché, durante la lunga dominazione aragonese la pastorizia era diventata dominante, per di più in un contesto d’uso collettivo delle terre che ostacolava l’impiego razionale e produttivo delle risorse. Inoltre, i vincoli e le interdipendenze tra feudalismo e pastorizia si erano rinsaldati nella durata del sostegno reciproco, sicché la Sardegna poteva dirsi una società feudale dal punto di vista politico e pastorale dal punto di vista economico.
di Vincenzo Medde
«Perché la grande isola è tuttora spopolata, incolta?», si chiedeva già nel 1934 Gavino Alivia in occasione del 12. Congresso geografico italiano che si teneva appunto in Sardegna. «Le cause di questo fenomeno – Alivia vi torna ancora vent’anni dopo – sono essenzialmente storiche: l'isolamento della Sardegna dalle correnti migratorie, dalle invasioni, dagli scambi, la insicurezza del litorale e infine la malaria, che in una popolazione tanto rarefatta ha potuto fare strage».
di Vincenzo Medde
Sebastiano Satta
Pastore con gregge
«Il pastore ha incorporato in sé, nella propria memoria, destrezza, coraggio e istinto quanto gli occorre per la conduzione del gregge. Secondo la sua stessa rappresentazione egli è uomo che sa il fatto suo, atleta o balente sempre in lotta con la natura, e molto più del contadino capace anche di adattarsi al gioco rischioso del mercato. Ma al mondo non reca che pretese, né la sua intelligenza, per quanto espressiva di miti e poesia, s’applica alle cose per mutarle a loro volta in strumenti o tecniche, cumulando il sapere e le risorse di ieri con quelli di oggi». (G.G. Ortu)