di Vincenzo Medde

(Secondo articolo dedicato alla storia della Polonia dal 1918 al 1989. Qui il Primo articolo)

 

 

Austria, Prussia e Russia, a tre riprese tra il 1772 e il 1795, si erano spartite il territorio dell’antica Confederazione polacco-lituana, causando la scomparsa della Polonia come entità autonoma per 123 anni. Solo nel 1918, a conclusione della Grande Guerra, che aveva causato il crollo degli imperi occupanti, la Polonia ridivenne stato indipendente.

1. Nella morsa sovietico-tedesca

La Polonia degli anni Trenta si sentiva ed era intrappolata tra due potenze revisioniste, Germania e Unione Sovietica, entrambe intenzionate a rovesciare l’assetto geopolitico dell’Europa orientale emerso a Versailles nel 1919 e a Riga nel 1921 con il trattato polacco-sovietico, che aveva visto la rinascita di una Polonia indipendente i cui confini includevano territori prima tedeschi e russi.

Infatti, per effetto del trattato di Versailles la Germania aveva ceduto alla Polonia parte della Prussia e della Slesia; la città di Danzica, la cui popolazione era in gran parte tedesca, era diventata Città Libera sotto l’amministrazione della Lega delle Nazioni con garanzie per il commercio polacco e diritti per la popolazione tedesca. La Prussia Orientale restò così separata dal resto della Germania da una striscia, il corridoio polacco, creato appositamente per dare alla Polonia l’accesso a Danzica e al mare.

I Bolscevichi, a loro volta, a seguito della sconfitta del 1920 nella guerra russo-polacca e per effetto del trattato di Riga, avevano ceduto alla Polonia le ex province russe di Wilno, Wołyń, Galizia orientale e parte della Polesia. [Kochanski: 20; Leslie: 138]

Germania e Urss, diventate ormai due potenze continentali, aspiravano sia al recupero dei territori perduti sia ad una ulteriore espansione, la prima per guadagnarsi un preteso spazio vitale a est, la seconda per estendere a ovest i confini dell’impero sovietico e comunista. Tale riassetto geopolitico doveva essere realizzato a spese della Polonia, come risultava dalle dichiarazioni, dai proclami, dalle minacce di politici, militari, diplomatici tedeschi e sovietici.

L’11 settembre 1922 il comandante in capo dell’esercito tedesco Hans von Seeckt in un rapporto per il cancelliere della Repubblica di Weimar Joseph Wirth scrisse: «Quando si parla di Polonia, si arriva al nocciolo del problema orientale.L’esistenza della Polonia è intollerabile e incompatibile con gli interessi vitali della Germania*. Deve scomparire, e scomparirà a causa della sua stessa debolezza e per mezzo della Russia con il nostro aiuto… Il raggiungimento di questo obiettivo deve essere uno dei principi guida più fermi della politica tedesca, dato che è possibile realizzarlo, ma solo attraverso la Russia o con il suo aiuto. Un ritorno alla frontiera del 1914 dovrebbe essere la base dell’accordo tra Russia e Germania». [cit. in Kochanski: 34-35; Cavallucci 2010: 324]

Nel 1924 i Sovietici proposero ai Tedeschi un intervento comune contro la Polonia, proposta rifiutata perché la Germania aveva allora intrapreso una politica più distensiva con la Francia alleata della Polonia dal 1921.

Nel 1930, in occasione della firma per un contratto con la fabbrica di armi tedesca Rheinmetall, il generale sovietico Ieronim Uborevič dichiarava: «Nel giro di due anni saremo al punto di poter regolarizzare i confini e ammazzare i Polacchi? Dobbiamo dividercela di nuovo, la Polonia». [cit. in Weber: 17]

Il 4 ottobre 1938, il vice commissario per gli affari esteri sovietico Vladimir P. Potëmkin confidò all’ambasciatore francese a Mosca Robert Coulondre: «Dal nostro punto di vista non vedo altra possibilità che una quarta spartizione della Polonia». [cit. in Cavallucci 2010: 117; Kornat: 139]

Da parte sua, il 7 settembre 1939, secondo quanto riferisce Dimitrov, segretario dell’Internazionale Comunista, nel suo Diario. Gli anni di Mosca (1934-1945), Stalin spiega perché era giusto distruggere la Polonia: «Lo Stato polacco prima (nella storia) era stato uno Stato nazionale. Perciò i rivoluzionari lo difendevano contro le spartizioni e l’asservimento.
— Adesso è uno Stato fascista, opprime gli ucraini, i bielorussi ecc.
— Nella situazione attuale la distruzione di questo Stato significherebbe uno Stato borghese fascista in meno!
Che cosa ci sarebbe di male se, come effetto della sconfitta della Polonia, noi estendessimo il sistema socialista a nuovi territori e popolazioni?». [Dimitrov: 194]

Il 24 ottobre 1938, la Germania, che non aveva mai rinunciato ai territori perduti dopo la sconfitta del 1918, presentò al governo polacco un elenco di richieste: il ritorno di Danzica al Reich e la costruzione di un’autostrada e di una ferrovia extraterritoriali attraverso il corridoio che collegasse la Prussia orientale al resto della Germania. Alla Polonia venne offerta la possibilità di estendere per altri venticinque anni la Dichiarazione di non aggressione firmata nel 1934, venne inoltre invitata ad aderire al Patto Anti-Comintern.

Józef Beck, ministro degli esteri tra il 1932 e il 1939, rifiutò sia le richieste sia le offerte dei Tedeschi: accettare le richieste su Danzica significava avviare quello smembramento territoriale pezzo per pezzo, che, con l’approvazione delle grandi potenze aveva avuto successo poco prima in Cecoslovacchia; accettare le offerte significava porre fine a quella politica di equilibrio tra Germania e Russia nella quale tanto Piłsudski, il fondatore della Seconda Repubblica polacca, quanto Beck confidavano per salvare il paese dalle aggressioni dei potenti vicini.

D’altra parte, Hitler aveva già esposto chiaramente le sue mire: «Oggetto della controversia non è affatto Danzica. Si tratta di ampliare il nostro spazio vitale all’Est, di garantire l’approvvigionamento alimentare e di risolvere il problema baltico» [cit. in Kochanski: 47] Si trattava in effetti della prosecuzione del piano che aveva portato i Tedeschi ad annettere l’Austria, i Sudeti, la Boemia e la Moravia e, di fatto, la Slovacchia.

Per cinque anni i Polacchi rifiutarono le insistenti offerte dei Tedeschi di stringere un’alleanza contro l’Urss, l’ultima volta il 25 gennaio 1939 a Varsavia quando respinsero l’ennesima proposta del ministro degli esteri tedesco, Joachim von Ribbentrop. Quello stesso giorno il «New York Times» pubblicò un articolo del ministro degli esteri polacco Józef Beck in cui, di fronte al mondo, veniva chiarito che la Polonia non si sarebbe mai schierata né con la Germania né con l’Urss in una eventuale guerra tra le due potenze. [Snyder 2021:146]

Nella morsa dei due potenti vicini, il colonnello Józef Beck, riassunse a questo modo i cardini della politica estera polacca: «La politica polacca si basa sui seguenti elementi: dalla nostra posizione geografica, nonché dalle esperienze della nostra storia, risulta che i problemi ai quali dobbiamo attribuire un’importanza decisiva sono quelli posti dalle relazioni con i nostri due grandi vicini, Germania e Russia. È dunque a questi problemi che dobbiamo dedicare la maggior parte della nostra attività politica e dei nostri modesti mezzi d’azione. La storia ci insegna: 1) che la più grande catastrofe di cui la nostra nazione sia mai stata vittima è stata il risultato dell’azione concertata di queste due Potenze, e 2) che in questa situazione disperata non si trovava nessuna potenza al mondo che ci prestasse assistenza… Un’altra conclusione che si impone è che la politica di Varsavia non dovrebbe mai dipendere da Mosca o Berlino». [cit. in Kochanski: 37]

Su questa base di politica internazionale il 25 luglio 1932 la Polonia aveva concluso un patto di non aggressione con l’Urss, dichiarato valido per tre anni, ma esteso nel 1934 fino al 31 dicembre 1945. Il patto fu rotto unilateralmente dall’URSS il 17 settembre 1939 con l’invasione e l’annessione sovietica della Polonia orientale.

E il 26 gennaio 1934 la Polonia aveva firmato con la Germania una Dichiarazione di non aggressione valida dieci anni. Dichiarazione e non patto, perché secondo i Tedeschi il termine “patto” implicava il riconoscimento delle frontiere con la Polonia, che la Germania rifiutava.

2. Le garanzie incerte di Gran Bretagna e Francia

La politica di equilibrio (non dipendere né da Berlino né da Mosca e neppure stringere alleanze esclusive con una delle due) di Piłsudski e dei successori, non poteva certo costituire un argine definitivo contro i possibili attacchi provenienti da ovest e da est.

Così, la Polonia cercò di rafforzare la sua politica di equilibrio e di salvaguardare l’indipendenza e l’integrità territoriale tramite accordi e patti con la Francia e la Gran Bretagna.

Nel 1921 la Polonia stipulò un’alleanza difensiva che prevedeva l’ingresso in guerra della Francia in caso di attacco della Germania, ma non era chiaro se un attacco tedesco a Danzica sarebbe stato considerato un casus belli perché, dipendendo la città legalmente dalla Società delle Nazioni, era sempre possibile che i Francesi chiedessero che della questione si occupasse appunto la SdN e certamente non avrebbero attaccato la Germania.

Altrettanto problematica era la posizione della Gran Bretagna, tant’è che fin dal 1925 il ministro degli esteri, Austen Chamberlain, chiarì pubblicamente che per Danzica «nessun governo britannico potrà mai rischiare le ossa di un granatiere britannico» [cit. in Kochanski: 36]. Posizione reiterata in Francia nel maggio 1939 quando, su un quotidiano parigino, uscirono i famosi articoli del deputato francese Marcel Déat intitolati Morire per Danzica?; la risposta, anche in Francia, era negativa.

Ma la Polonia confidava, e doveva confidare, nell’aiuto di Gran Bretagna e Francia anche se, in realtà, l’aiuto dell’una e dell’altra era fortemente condizionato e soggetto a cospicue riserve.

Il 31 marzo 1939, in parte come reazione al fallimento dell’accordo di Monaco del 1938 e alla trasformazione hitleriana di Boemia e Moravia in protettorato tedesco, il primo ministro britannico Neville Chamberlain, a nome del suo governo e di quello della Francia, davanti alla Camera dei Comuni fece una dichiarazione nella quale si prometteva assistenza alla Polonia in caso di attacco da parte di potenze straniere.

Tale dichiarazione, però, fu formalizzata in un Accordo di mutua assistenza tra il Regno Unito e la Polonia solo il 25 di agosto, due giorni dopo il patto Molotov-Ribbentrop. Da mettere in evidenza che in nessun paragrafo dell’Accordo era precisata quale sarebbe stata la risposta della Gran Bretagna in caso di guerra tedesco-polacca. L’articolo 1 dell’Accordo indicava che se una delle due parti si fosse trovata sotto attacco, l’altra avrebbe dato “tutto il sostegno e l’assistenza”. L’annesso Protocollo segreto chiariva poi che l’accordo si applicava solo in caso di attacco da parte della Germania. Se l’aggressore fosse stato un altro stato, non ci sarebbe stato alcun impegno ad assistere il paese aggredito. In realtà, quindi, la Polonia non aveva alcuna garanzia preventiva che la Gran Bretagna o la Francia avrebbero automaticamente intrapreso un’azione militare a sostegno della Polonia. Dunque, se l’Unione Sovietica avesse attaccato Polonia, le due potenze occidentali non avrebbero avuto il dovere di intervenire. [Prazmowska: 134]

Nell’aprile del 1939 il generale Tadeusz Kasprzycki guidò una delegazione polacca a Parigi, con l’obiettivo di ottenere un preciso sostegno francese al sempre più probabile attacco militare tedesco alla Polonia. Dopo quasi un mese di negoziati, il generale polacco non ebbe dubbi sul fatto che la Francia difficilmente avrebbe intrapreso un’azione militare per difendere la Polonia. Nonostante gli impegni formali, il governo francese stava rapidamente ridimensionando il suo impegno effettivo a combattere la Germania, per nascondersi invece dietro dichiarazioni politiche che non comportavano alcun sostegno militare concreto e determinato. [Prazmowska: 134]

Ma, soprattutto, Gran Bretagna e Francia avevano scelto la politica dell’appeasement nei confronti della Germania, politica per cui le concessioni a Hitler potevano essere considerate un prezzo accettabile per garantire la pace in Europa. Da qui la mancata opposizione al riarmo della Germania, all’Anschluss, alla cessione dei Sudeti, alla trasformazione della Cechia (Boemia e Moravia) in protettorato, all’indipendenza della Slovacchia con conseguente subordinazione ai Nazisti. E il 9 dicembre 1938 i Polacchi furono informati dell’intenzione britannica di chiedere alla SdN di ritirare la protezione a Danzica. [Kochanski: 44]

D’altra parte «gli Inglesi erano disposti a riconoscere alla Germania una sorta di diritto “morale” di riunificare i Tedeschi sotto un’unica bandiera. Le pressioni effettuate sul governo cecoslovacco per convincerlo a cedere la regione dei Sudeti da un lato dovevano prevenire lo scoppio di un conflitto, dall’altro rispondevano alla concezione britannica di “pace morale”, una pace che esprimeva quei principi etici che per gli Inglesi avevano tanto valore. In questa visione rientrava anche la città libera [Danzica], in relazione alla quale Londra non aveva perso occasione per manifestare il suo disappunto. Per gli Inglesi Danzica era una città tedesca legata alla Polonia solo da vincoli economici. La popolazione aveva il diritto di scegliere il suo destino e l’annessione alla Germania era la soluzione più naturale. […] Per gli Inglesi, l’Europa orientale rappresentava ancora l’area in cui l’espansione tedesca poteva trovare i suoi sbocchi naturali; inoltre, la politica di intesa diretta con la Germania continuava ad essere prioritaria». [Cavallucci 2010: 166-167, 173]

«Tre giorni prima dell’invasione della Polonia, Chamberlain disse all’inviato speciale di Hermann Goering, Birger Dahlerus, che i Polacchi avrebbero concesso Danzica, subordinatamente al mantenimento di alcuni diritti polacchi, e avrebbero consentito il collegamento extraterritoriale attraverso il Corridoio soggetto a garanzie internazionali. I Polacchi non furono informati che Chamberlain stava concedendo ciò che i Polacchi avevano in realtà rifiutato. Se lo avessero saputo, avrebbero avuto conferma che la Gran Bretagna era pronta a iniziare il processo di smembramento della Polonia come aveva fatto a Monaco nel caso della Cecoslovacchia. Non sorprende quindi che nemmeno Hitler credesse che la Gran Bretagna sarebbe davvero entrata in guerra con la Germania per la Polonia». [Kochanski: 57]

Le ambiguità, ma poteva anche trattarsi di vere e proprie promesse ingannevoli, della diplomazia franco-britannica, almeno nella primavera del 1939, erano dovute alla convinzione che la Polonia fosse indifendibile e che sarebbe stata sopraffatta fin dalle prime fasi di un conflitto; non era dunque ragionevole sprecare armi e finanziamenti che potevano essere più utilmente impiegati per difendere le frontiere occidentali.

Tale approccio ai problemi della sicurezza in Europa e alla difesa della Polonia fu confermato in occasione delle discussioni tra le delegazioni militari franco-britanniche che si tennero tra il 29 marzo e il 4 aprile, poi di nuovo il 24 aprile - 4 maggio 1939 e ancora durante tutta l’estate del 1939. [Steiner: 784]

Entrambe le delegazioni presumevano che Hitler avrebbe attaccato prima ad est e che la Polonia sarebbe crollata nelle prime fasi del conflitto; si sperava solo che i Polacchi potessero resistere abbastanza a lungo da dare agli Alleati il tempo di rafforzare la loro posizione ad ovest. In ogni caso, non era realistico sprecare risorse in un aiuto che non avrebbe potuto far fronte all’aggressione dei Tedeschi.

Il generale francese Maurice Gamelin, comandante in capo dell’esercito francese, parlando privatamente con il generale britannico John Gort, a metà luglio si espresse con cinica crudezza «Abbiamo tutto l’interesse che la guerra abbia inizio nell’est e diventi un conflitto generale solo un po’ per volta. Avremo così il tempo necessario per mettere sul piede di guerra tutte le forze franco-britanniche … Il sacrificio dei Polacchi bloccherà, a nostro vantaggio, importanti forze tedesche ad est». [cit. in Steiner: 786-787; Kochanski: 49]

Gli Inglesi rimasero alquanto sconcertati quando i colloqui anglo-francesi rivelarono quanto poco i Francesi intendessero fare ma, come divenne chiaro alla fine dell’estate, non vi erano né proposte né piani, né francesi né britannici, per combattere contro la Germania in un possibile attacco a est.

Una notevole pressione fu esercitata su Beck affinché su Danzica mostrasse maggiori aperture, ma nessuna generosità fu mostrata verso le richieste polacche di assistenza militare e finanziaria.

Sia gli Inglesi che i Francesi inviarono missioni militari in Polonia, l’ultima il 23 agosto, ma senza istruzioni per organizzare una cooperazione militare di alcun tipo.

Gamelin non aveva intenzione di lanciare una grande offensiva contro la Germania; le istruzioni date al generale Georges il 31 maggio parlavano solo di un impegno graduale contro le forze tedesche nella Saar tra il Reno e la Mosella. Vuillemin, comandante delle forze aeree, sapeva che l’aviazione francese non avrebbe fatto nulla; ci sarebbero voluti altri sei mesi prima che le forze anglo-francesi potessero avvicinarsi alla parità con la Luftwaffe e non avrebbe rischiato i suoi preziosi aerei per aiutare la Polonia.

«Il ministro degli esteri Georges Bonnet, “congenitamente menzognero”, condusse un gioco particolarmente ingannevole. Il suo interesse per le garanzie e i colloqui con i Sovietici era limitato al perseguimento della deterrenza. Non intendeva fare di un attacco tedesco alla Polonia la causa dell’entrata in guerra della Francia. Il comportamento di Bonnet era subdolo, ma quello di Gamelin non era certo più affidabile. Egli, a differenza di Bonnet, pensava che la Francia avrebbe dovuto combattere se la Polonia fosse stata attaccata, ma deliberatamente fuorviò i Polacchi sulle sue intenzioni». [Steiner: 788]

Anche i Britannici fecero ai Polacchi promesse che non avevano intenzione di mantenere, perché ritenevano che i loro interessi vitali riguardassero la difesa delle isole e dell’impero: Egitto, Grecia e Turchia avevano la precedenza sulla Polonia. Poiché si presumeva che qualsiasi aiuto alla Polonia o alla Romania non avrebbe significativamente aumentato la capacità di entrambi i paesi di difendersi, le limitate risorse della Gran Bretagna dovevano essere meglio utilizzate altrove. In ogni caso, Chamberlain, più che alla difesa della Polonia, era interessato ad evitare che un’eventuale reazione polacca alle provocazioni tedesche a Danzica offrisse a Hitler il pretesto per un attacco.

Sul rifiuto anglo-francese di difendere la Polonia la storica americana Zara Steiner ha concluso: «Escludendo la Polonia fin dall’inizio della guerra, gli Alleati diedero ai Tedeschi l’opportunità di completare la loro prima campagna senza alcuna opposizione da parte loro e persero ogni vantaggio che sarebbe potuto derivare da uno sfondamento ad ovest. Un tale attacco avrebbe potuto, per esempio, fermare Stalin prima di impegnare le sue truppe nella Polonia orientale». [Steiner: 790]

3. Di fronte agli interessi e alle mire dell’Unione Sovietica

C’è da aggiungere che Gran Bretagna e Francia consideravano la Polonia e tutto l’Est europeo come appartenente alla sfera difensiva dell’Urss, per cui, senza il coinvolgimento sovietico non sarebbe stato possibile rendere effettive le garanzie alla Polonia. Nel dibattito che si tenne al parlamento di Londra il 19 maggio 1939 esponenti importanti come David Lloyd George, Clement Attlee, Anthony Eden e Winston Churchill osservarono che la Gran Bretagna non aveva i mezzi per difendere i paesi dell’Europa orientale senza il contributo essenziale dell’Urss [Cavallucci 2010: 296]. Lloyd George era stato esplicito: «Senza l’aiuto della Russia, cadremo in una trappola. Se la Russia non è stata coinvolta in questa faccenda a causa di certi sentimenti che i Polacchi hanno di non volere il Russo lì, sta a noi dichiarare le condizioni». [cit in Kochanski: 47]

Le riserve polacche nei confronti dei Sovietici e della loro volontà e forza effettiva di combattere contro la Germania erano considerate da Britannici e Francesi o esagerate o pretesti nazionalistici. Ma, in cambio della firma di un accordo con Gran Bretagna e Francia, l’Urss voleva che la Polonia concedesse il diritto alle truppe sovietiche di passare attraverso il territorio polacco, la fine dell’alleanza polacco-rumena e la limitazione della garanzia della Gran Bretagna alla frontiera occidentale della Polonia con la Germania. [Kochanski: 48]

Il 2 giugno 1939 i Sovietici presentarono un progetto di accordo a tre – Urss, Gran Bretagna, Francia – secondo il quale le tre potenze si impegnavano ad intervenire in caso di aggressione non solo ad uno dei tre paesi, ma anche a uno dei seguenti: Polonia, Estonia, Finlandia, Romania, Turchia, Grecia, Belgio; e questo anche se i paesi non avessero firmato l’accordo e non avessero richiesto l’aiuto dell’Urss. Successivamente, il ministro degli Esteri sovietico Molotov precisò che per aggressione si doveva intendere sia quella diretta che quella indiretta e quest’ultima poteva comprendere un colpo di Stato o un rivolgimento politico che favorisse l’aggressore. Questo significava che Mosca si riservava il diritto di intervenire militarmente in quegli stati che reputava essenziali per la sua sicurezza – Polonia appunto, ma anche Romania, Estonia, Lettonia, Finlandia – anche solo sulla base di una minaccia percepita e anche se tali stati non fossero stati apertamente minacciati. [Cavallucci 2010: 297-298, 308-309; Cienciala 2003: 164]

I governi di questi paesi cui veniva offerta protezione rifiutavano la tutela dell’Unione Sovietica, anzi la Finlandia aveva dichiarato che avrebbe considerato come aggressione un aiuto armato non richiesto, mentre Estonia e Lettonia erano anche disposte a firmare con la Germania un accordo di non aggressione perché temevano più la tutela sovietica che l’aggressività tedesca. [Cavallucci 2010: 298; Kotkin: 876]

In effetti, i Baltici, ritenendo insicura la garanzia offerta dalla Gran Bretagna, consideravano sempre più la Germania come l’unico contrappeso realistico all’URSS.

I Polacchi, in particolare, erano contrari ad accordi, militari soprattutto, che avrebbero offerto ai Sovietici l’occasione per dislocare l’Armata Rossa nel loro paese. I Polacchi, per lunga esperienza, sapevano che i Sovietici, una volta che fossero penetrati nel loro territorio, non se ne sarebbero più andati, vi avrebbero anzi portato i loro apparati amministrativi, polizieschi e repressivi, come in effetti accadde dal 17 settembre 1939. La diffidenza dei Polacchi era nutrita e rafforzata da ciò che loro meglio di altri fuori dell’Urss sapevano delle politiche di sterminio sociale ed etnico perpetrate da Stalin e dai suoi accoliti, dalla morte per fame del 1932-33 in Ucraina ai massacri del 1936-38 che avevano duramente colpito gli stessi Polacchi.

L’11 agosto 1937 Nikolaj Ežov, capo del NKVD, emanò l’ordine 00485 con cui si programmava la “liquidazione totale delle reti di spie dell’Organizzazione militare polacca”, in realtà un piano di sterminio sistematico dei Polacchi in Unione Sovietica. [Snyder 2021: 124; Kornat: 140] Tra il 1937 e il 1938 furono uccisi circa 85.000 Polacchi (6597 solo a Leningrado) in un massacro che doveva rivelarsi il secondo per ampiezza dopo quello dei kulaki [Snyder 2021: 128, 134].

Ecco un episodio dello sterminio come lo racconta Timothy Snyder: «Durante le prime fasi di questa operazione, molti arresti vennero eseguiti a Leningrado, dove l’NKVD aveva grandi uffici e migliaia di Polacchi vivevano a poca distanza gli uni dagli altri, essendo la città per tradizione un loro luogo d’insediamento fin dai tempi dell’impero zarista. Janina Juriewicz, allora giovane polacca di Leningrado, vide la sua vita cambiare in seguito a questi primi arresti. Era la più giovane di tre sorelle, ed era molto affezionata a Maria, la più vecchia. Quest’ultima s’innamorò di un giovanotto chiamato Stanislaw Wyganowski e i tre erano soliti fare lunghe passeggiate insieme, con la piccola Janina che faceva da accompagnatrice. Maria e Stanislaw, sposatisi nel 1936, erano una coppia felice. Quando Maria fu arrestata nell’agosto del 1937, suo marito sembrò capire che cosa ciò significasse. “La incontrerò” disse “sottoterra.” Andò dalle autorità per ricevere informazioni e fu arrestato anche lui. Un mese dopo l’NKVD visitò la casa della famiglia Juriewicz, confiscò tutti i libri in polacco e arrestò l’altra sorella di Janina, Elzbieta. Lei, Maria e Stanislaw furono tutti giustiziati con un colpo alla nuca e sepolti in una fossa comune. Quando la madre di Janina chiese notizie alla polizia, le fu detta la tipica bugia: sua figlia e suo genero erano stati condannati a “dieci anni senza il diritto di tenere una corrispondenza”. Poiché questa era un altro possibile tipo di condanna, la gente ci credeva e sperava. Molti continuarono ad attendere per decenni». [Snyder 2021: 127-128]

Stalin espresse la sua soddisfazione a Ežov: «Molto bene! Continua a scavare e a pulire questa sozzura polacca. Eliminala nell’interesse dell’Unione Sovietica». [cit. in Snyder 2021: 127]

Per i Polacchi l’Unione Sovietica era una minaccia totale perché attentava non solo alla loro sopravvivenza come stato e comunità nazionale indipendente, ma mirava alla distruzione della loro identità culturale profonda. I Polacchi si percepivano come un estremo Occidente che, difendendo i propri confini, contrastava l’assorbimento coatto in una cultura, una economia e in uno stile di vita asiatici ritenuti inferiori, più autoritari e del tutto incapaci di mantenere la qualità della vita e i diritti che anche nelle regioni più povere erano ora garantiti [Cavallucci 2010: 289, 307].

Sul senso di alterità dei Polacchi rispetto ai Sovietici e sulla loro coscienza di appartenere ad una civiltà superiore e ad una società più ricca e avanzata sono significative le testimonianze riportate da Jan T. Gross sull’arrivo dei soldati sovietici nella Polonia orientale in seguito all'invasione del 17 settembre 1939. Gross così riassume l’idea che i Polacchi si fecero dei soldati dell’Armata Rossa: «Erano mal nutriti, malvestiti, puzzolenti (usavano catrame maleodorante per impregnare le calzature) e non conoscevano una varietà di oggetti materiali che erano comuni presso i contadini dell’Ucraina occidentale e della Bielorussia occidentale». In questa zona povera e periferica della Polonia, nei villaggi e nelle cittadine, per non dire delle grandi città come Wilno e Lwow, i soldati dell’Armata Rossa si ritrovarono in un mondo – case private, negozi, mercati, ristoranti – pieno di meraviglie sconosciute e abbondanza per loro inimmaginabile. E i Polacchi – anche i più poveri, anche i meglio disposti a confidare in un avvenire comunista e sovietico – dovettero ricredersi; e con loro anche i contadini bielorussi di cui ha raccontato Julius Margolin, che, pur soggetti ai proprietari terrieri polacchi, così rimpiangevano la condizione precedente: «Per vent’anni i pan [signori] hanno tentato di trasformarci in Polacchi, senza però riuscirvi. I Bolscevichi, in due mesi, hanno fatto di noi dei Polacchi». Icasticamente un insegnante rilevò che con l’invasione sovietica della Polonia «entrarono in contatto un mondo affamato e uno sazio». [Gross: 45-50; Margolin: 72-73, 111, 113-114]

Insomma, a vent’anni dalla riconquista dell’indipendenza, né i Tedeschi né i Sovietici intendevano veramente riconoscere e rispettare l’integrità territoriale e la sovranità del nuovo stato polacco, mentre per Britannici e Francesi i diritti della Repubblica polacca risultavano prevalentemente subordinati ai rispettivi interessi strategici e geopolitici. Non c’è da meravigliarsi se i Polacchi sentivano di operare su un crinale ai lati del quale li attendeva la catastrofe: perdita dell’indipendenza, sterminio delle élites, immani distruzioni fisiche.

4. I progetti di accordo con Stalin di Tedeschi e Franco-Britannici

È in questo contesto di obbiettiva debolezza dei Polacchi e di incertezze e calcoli diplomatici di Britannici e Francesi che Hitler e Stalin, fin dalla primavera del 1939, cominciarono a pensare allo smembramento della Polonia nei termini concreti di un accordo sulla base dei comuni interessi, nonostante le divergenti ideologie del nazismo e del comunismo.

Come spiegò Stalin all’ambasciatore britannico Stafford Cripps: «L’URSS voleva cambiare il vecchio equilibrio. L’Inghilterra e la Francia volevano preservarlo. Anche la Germania voleva cambiare l’equilibrio e questo desiderio comune di sbarazzarsi del vecchio l’equilibrio ha creato le basi per il riavvicinamento con la Germania» [cit. in Moorhouse: 25]. Il vecchio equilibrio cui alludeva Stalin era quello creato dagli accordi di Versailles che, tra l’altro, avevano posto le basi dell’indipendenza polacca.

Certo, un’alleanza tra Germania nazista e Urss comunista doveva tener conto del fatto che i due regimi si erano fatti una guerra politica e ideologica per cui, l’uno per l’altro, sembravano essere il nemico numero uno. Per dirla con Stalin: «Da molti anni ormai ci versiamo secchi di merda l’uno sulla testa dell’altro». [cit. in Kotkin: 900; Moorhouse: 27]

Ma vi erano anche delle affinità, come volle far presente ai Sovietici Julius Schnurre, capo della Divisione tedesca per la politica economica per l’est europeo: «Nonostante tutte le differenze nelle rispettive Weltanschauung, c’è un elemento comune nelle ideologie della Germania, dell’Italia e dell’Unione Sovietica: l’opposizione alle democrazie capitaliste. Né noi né l’Italia abbiamo nulla in comune con l’Occidente capitalista. Pertanto ci sembra piuttosto innaturale che uno Stato socialista si schieri dalla parte delle democrazie occidentali». [cit. in Nekric: 115]

E, ancora più autorevolmente, Ribbentrop, ministro degli Esteri di Hitler, in un telegramma all’ambasciatore tedesco a Mosca Friedrich von der Schulenburg del 14 agosto 1939, chiarì che non esistevano reali conflitti di interesse tra Germania e Urss e che tra il Baltico e il Mar Nero non c’erano questioni che non potessero venir regolate con il totale gradimento di entrambi i paesi. [Documents VII: 63/56**; Moorhouse: 33; Weber: 55-56]

Nello stesso torno di tempo, primavera-estate 1939, anche i Britannici e i Francesi tentavano di portare Stalin dalla loro parte, da ultimo tramite una delegazione militare guidata dall’ammiraglio Drax e dal generale Doumenc, che arrivarono a Mosca l’11 agosto. Nella delegazione c’era una sola persona che parlasse russo e che avesse una certa conoscenza dell’Urss [Kotkin: 889]. Schulenburg fece sapere a Berlino che alla delegazione franco-britannica, che non aveva mostrato troppa sollecitudine, avendo impiegato sei giorni per arrivare a Mosca viaggiando su un mercantile, i Sovietici avevano riservato un’accoglienza piuttosto fredda e in tono minore, senza guardia d’onore e senza personalità militari di alto rango. [Documents VII: 28/29]

In ogni caso, ai membri della delegazione britannica era stato precisato che erano solo negoziatori, poiché l’accordo finale su qualsiasi convenzione militare spettava ai governi britannico e francese. Anche i rispettivi mandati erano diversi; mentre i Britannici erano stati istruiti a procedere molto lentamente con le conversazioni, osservando l’andamento dei negoziati politici e mantenendosi in stretto contatto con l’ambasciatore di Sua Maestà, al contrario, alla delegazione francese erano stati conferiti pieni poteri negoziali per tornare con un accordo firmato. [Cienciala 2003: 191-192]

La delegazione franco-britannica mancava dunque di autorevolezza e non aveva le credenziali per intavolare serie trattative sulle condizioni per un accordo che venisse incontro alle ambizioni di sicurezza e territoriali dei Sovietici, che il capo delegazione, maresciallo Kliment Vorošilov, così formulava: «l’esercito sovietico avrebbe potuto entrare in contatto con le forze tedesche attraverso la Prussia orientale? Allo stesso fine, avrebbe potuto utilizzare il territorio della Polonia, con particolare riferimento a Vilnius e alla Małopolska [Polonia Minor] orientale? L’esercito sovietico avrebbe potuto utilizzare il territorio della Romania?». [cit. in Kornat: 147]

Secondo lo storico Marek Kornat le richieste di Vorošilov avevano lo scopo di provocare una crisi nei negoziati in corso. «Nei negoziati con la missione Drax, Stalin ordinò a Vorošilov, mettendo per iscritto le istruzioni, di assumere una linea dura, ma in modo tale che gli Inglesi e i Francesi sarebbero stati incolpati di qualsiasi fallimento» [Kotkin: 889]. Vale anche la pena osservare che le condizioni poste da Vorošilov vennero comunicate a Varsavia dagli ambasciatori britannico e francese, perché il governo sovietico non le aveva mai presentate al governo polacco in colloqui diretti.

Britannici e Francesi (questi ultimi soprattutto) esercitarono una forte pressione su Varsavia affinché accogliesse le richieste sovietiche; «Furono principalmente i Francesi a insistere, gli Inglesi furono meno importuni» [Cavallucci 2010: 317], ma il ministro degli Esteri polacco Beck rilasciò una dichiarazione che riaffermava: «In caso di guerra contro la Germania, gli Stati maggiori polacco e sovietico possono instaurare una stretta cooperazione, ma non è possibile accettare in anticipo l’ingresso [di truppe] in territorio polacco». [cit. in Kornat: 148]

Così, la delegazione franco-britannica poté solo tergiversare promettendo vagamente che le questioni sul tavolo sarebbero state chiarite a tempo debito. Vorošilov e i capi sovietici presero atto che gli Occidentali non potevano assicurare quei vantaggi strategici e territoriali che l’Urss richiedeva, in primo luogo il controllo territoriale dei paesi confinanti. Nessuna sorpresa, quindi, se i negoziati non portarono a nulla.

D’altra parte, prima di partire per Mosca, a Drax era stato specificamente detto dal Primo Ministro e dal ministro degli esteri britannici che, in caso di difficoltà con i Sovietici, avrebbe dovuto cercare di prolungare i negoziati fino a ottobre, quando le condizioni invernali in Polonia avrebbero reso difficile un’invasione nazista. Gli inglesi speravano che la semplice minaccia di un’alleanza con l’Unione Sovietica potesse fungere da deterrente contro i Tedeschi.

Al di là della scarsa autorevolezza della delegazione franco-britannica – l’ammiraglio Reginald Aylmer Ranfurly Plunkett-Ernle-Erle-Drax venne ribattezzato “Admiral Nobody” e il generale Joseph Édouard Doumenc “Général Inconnu” – [Weber: 54] il fatto è che Britannici e Francesi non avevano molto da offrire che potesse sul serio interessare Stalin, e non potevano vendere la Polonia ai Sovietici dopo aver venduto la Cecoslovacchia ai Tedeschi. Ma si è anche sostenuto che Chamberlain avrebbe dovuto accettare l’espansionismo sovietico nell’Europa centrale se ciò avesse potuto evitare una guerra della portata della seconda guerra mondiale. [cfr. Kotkin: 1579, nota n. 195]

In ogni caso, l’ambasciatore polacco a Roma Wieniawa-Długoszowski ribadì al ministro degli Esteri italiano Galeazzo Ciano la posizione dei Polacchi: «Non vogliamo la guerra, ma ci batteremo con tutte le nostre forze in difesa dei nostri diritti. […] Non siamo Cechi. […] Monaco non si ripeterà una seconda volta». [cit. in Cavallucci 2010: 314]

I Tedeschi, invece, erano in grado di offrire ai Sovietici consistenti guadagni territoriali e strategici in cambio di un accordo. Come avrebbe confessato in seguito il diplomatico tedesco Hans Herwarth (che dopo la guerra fu il primo ambasciatore tedesco occidentale a Londra), «Siamo stati in grado di concludere un accordo con i Sovietici perché, senza problemi con l’opinione pubblica tedesca, abbiamo potuto consegnare gli Stati Baltici e la Polonia orientale alla Russia. Questo gli Inglesi e i Francesi, con le loro opinioni pubbliche, non sono stati in grado di farlo». [Bohlen: 86; Moorhouse: 33]

E Molotov, nel suo discorso al Soviet supremo del 31 agosto che ratificò all’unanimità il Patto di non aggressione con la Germania, affermò che Britannici e Francesi non avevano mai offerto vantaggi economici pari a quelli offerti dai Tedeschi.

Stephen Kotkin, biografo del dittatore sovietico, commenta: «In effetti, Stalin aveva organizzato un’asta per le sfere di influenza nell’Europa orientale, alla quale i Britannici non presentarono nessuna offerta. Qualsiasi fossero le preferenze di Stalin, Hitler offrì non solo il migliore accordo, ma l’unico». [Kotkin: 911]

5. Verso i patti nazi-sovietici

(Questo paragrafo e il seguente si basano sui documenti diplomatici pubblicati in Documents VII on German Foreign Policy 1918-1945, Series D-Volume VII, Her Majesty’s Stationery Office, London 1956.)

Hitler in un discorso ai comandanti militari il 22 agosto 1939 affermò: «Mi era chiaro che prima o poi si sarebbe arrivati a una guerra con la Polonia. Io avevo preso una decisione già in primavera». In effetti, però, solo nella seconda metà di agosto vennero accelerati gli approcci diplomatici che avrebbero garantito le condizioni per l’invasione della Polonia il successivo 1° settembre, in primo luogo la sicurezza che da oriente non sarebbe venuto nessun attacco, ciò che poi significava garantirsi la neutralità o l’alleanza con l’Unione Sovietica.

Al fine di acquisire tale garanzia il ministro degli Esteri Ribbentrop e il Segretario di Stato Ernst Weizsäcker, nella seconda metà di agosto tempestarono di richieste l’ambasciatore a Mosca Schulenburg affinché, tramite Molotov, organizzasse un incontro a Mosca tra Ribbentrop e Stalin, in vista di un accordo e di un patto di non aggressione tra Germania e Urss.

Il 14 agosto 1939 Ribbentrop chiese con urgenza all’ambasciatore Schulenburg di presentare a Molotov un documento, indirizzato direttamente a Stalin, che illustrava la posizione della Germania in merito alla possibile e auspicata collaborazione con l’Urss. Ribbentrop così illustrava la sua proposta:

  1. Le differenze ideologiche tra la Germania nazionalsocialista e l’Urss comunista hanno causato nel recente passato l’allontanamento tra i due paesi; gli sviluppi recenti però indicano che differenti ideologie non impediscono che i due stati possano ristabilire una nuova e amichevole collaborazione. Il periodo della contrapposizione può considerarsi concluso per aprire la strada ad un altro futuro.
  2. Il governo tedesco ritiene che tra il Baltico e il mar Nero non vi siano problemi – il mar Baltico, i Paesi Baltici, la Polonia, il sud-est, ecc. – che non possano essere risolti in modo soddisfacente per entrambi i paesi.
  3. Il governo tedesco e quello sovietico devono tener conto del fatto che le democrazie capitaliste occidentali sono le implacabili nemiche della Germania nazionalsocialista e dell’Unione Sovietica, tant’è che cercano di scatenare una guerra che metta i due paesi l’uno contro l’altro. Nel 1914 una tale contrapposizione tra i due paesi ha causato seri problemi all’Urss, per cui bisogna evitare di distruggersi a vicenda nell’interesse delle democrazie occidentali.
  4. Il ministro degli esteri del Reich è pronto ad effettuare una visita a Mosca per far conoscere a Stalin il punto di vista di Hitler. Solo una discussione diretta può favorire il cambiamento e portare ad una sistemazione stabile delle relazioni tra Germania e Urss.

Schulenburg, con telegramma del 16 agosto, ragguaglia Ribbentrop sulle risposte di Molotov alla sua proposta di incontro: Molotov si è mostrato molto interessato e chiede se la Germania a sua volta è interessata a un patto di non aggressione, che però andrebbe preparato accuratamente affinché la prospettata visita a Mosca non si risolva in uno scambio di opinioni ma abbia andamento ed esito concreti. Molotov chiede inoltre se la Germania vuole adoperarsi per un miglioramento delle relazioni dell’Urss con il Giappone e se è disposta ad offrire garanzie congiunte agli Stati Baltici.

Sempre il 16 agosto, mediante un telegramma “urgentissimo”, Ribbentrop incarica Schulenburg di riferire a Molotov e quindi a Stalin le risposte del governo tedesco alle richieste che Molotov stesso aveva formulato nel precedente incontro con Schulenburg del 15 agosto.

  1. La Germania è pronta a sottoscrivere un trattato di non aggressione con l’Urss, la cui durata potrebbe essere di venticinque anni. Inoltre, la Germania è d’accordo a garantire, insieme con l’Urss, gli Stati Baltici. Infine, la Germania è disposta ad adoperarsi per migliorare le relazioni sovietico-giapponesi.
  2. «Il Führer è del parere che, vista la situazione attuale e la possibilità che si verifichino, in qualsiasi giorno, eventi gravi (si prega a questo punto di spiegare a Molotov che la Germania è decisa a non sopportare indefinitamente la provocazione polacca), è auspicabile un fondamentale e rapido chiarimento delle relazioni tedesco-russe e dell’atteggiamento di ciascun paese nei confronti delle questioni del momento. Per questi motivi sono disposto a venire in aereo a Mosca in qualsiasi momento dopo venerdì 18 agosto, per trattare, con pieni poteri del Führer, l’intero complesso delle questioni russo-tedesche e, se si presenterà l’occasione, di firmare i trattati appropriati».

Dopo il telegramma di ragguaglio del 16 agosto sull’incontro del 15 con Molotov, Schulenburg, sempre il 16 agosto, invia un memorandum dove riferisce più in dettaglio sui contenuti dell’incontro.

  1. La conversazione è stata amichevole e Molotov è stato schietto come non mai.
  2. Un viaggio del ministro degli Esteri a Mosca richiederebbe una preparazione dettagliata se lo scambio di opinioni previsto si vuole che produca risultati concreti.
  3. Il governo sovietico negli ultimi anni aveva avuto l’impressione che il governo tedesco non avesse alcun desiderio di migliorare le relazioni con l’Unione Sovietica. Ora la situazione è cambiata. Dalle discussioni delle ultime settimane il governo sovietico ha tratto l’impressione che il governo tedesco abbia serie intenzioni di apportare un cambiamento nelle relazioni con l’Unione Sovietica.
  4. Come stanno le cose con l’idea di un patto di non aggressione? Il governo tedesco è incline all’idea o la questione non è stata ancora discussa in dettaglio?
  5. Per il governo sovietico è molto importante sapere se la Germania è preparata a firmare un patto di non aggressione in occasione della visita del ministro degli Esteri del Reich.
  6. Molotov ritiene che sia desiderabile agire in fretta affinché il corso degli eventi non metta Sovietici e Tedeschi di fronte a dei fatti compiuti.

Il 18 agosto Schulenburg è in grado di comunicare a Ribbentrop le risposte del governo sovietico alle proposte tedesche. Il governo sovietico ritiene che vi siano ora i presupposti per un miglioramento delle relazioni tra Germania e Urss. Il primo passo è la conclusione di un accordo commerciale; il secondo la firma di un trattato di non aggressione con la contestuale approvazione di un protocollo speciale da considerare parte integrante del trattato stesso; il protocollo definirà gli interessi delle parti contraenti in questa o quella questione di politica estera.

Circa la visita del ministro degli esteri del Reich, Molotov riferisce che il governo sovietico aveva espresso grande soddisfazione per questa proposta, poiché l’invio di un tale eminente politico e statista sottolineava quanto fossero serie le intenzioni del governo tedesco. Ciò era in notevole contrasto con quanto aveva fatto l’Inghilterra che aveva inviato a Mosca solo funzionari di secondo grado. Il viaggio del ministro degli Esteri del Reich, tuttavia, richiedeva un’accurata preparazione. Al governo sovietico non piaceva la pubblicità che avrebbe causato un simile evento; preferiva un lavoro pratico senza troppo clamore.

Molotov suggeriva ai Tedeschi di preparare subito una bozza di patto di non aggressione, inclusa la bozza di protocollo; lo stesso avrebbero fatto i Sovietici.

Schulenburg conclude la sua comunicazione osservando che per quanto riguarda il protocollo, potrebbe essere necessario disporre di informazioni più precise sui desideri del governo sovietico.

Il 19 agosto Schulenburg scrive a Ribbentrop che Molotov gli ha consegnato una bozza di patto di non aggressione.

Il 20 agosto Schulenburg reitera la proposta di una visita di Ribbentrop a Mosca per firmare un patto di non aggressione e un protocollo riservato che i Sovietici considerano «una questione molto seria». Stalin e Molotov sono d’accordo, ma non sembrano avere la stessa fretta dei Tedeschi. Ribbentrop, invece, tramite l’ambasciatore preme al fine di affrettare il più possibile sia la visita sia la firma, perché si tratta di «estrema urgenza». Alla fine, Molotov propone il 26 o 27 agosto.

Il 20 agosto Ribbentrop e Weizsäcker con due diversi telegrammi comunicano a Schulenburg l’ordine del Führer di consegnare immediatamente a Molotov un telegramma del Führer stesso per Stalin. Hitler, pur di affrettare i tempi dell’accordo con l’Urss in vista dell’attacco alla Polonia, ha deciso di scrivere personalmente e direttamente a Stalin. Questo il testo del telegramma:

    «Sgr. Stalin, Mosca.
  1. Accolgo sinceramente con favore la firma del nuovo Accordo commerciale tedesco-sovietico come primo passo verso il rimodellamento delle relazioni tedesco-sovietiche.
  2. La conclusione di un patto di non aggressione con l’Unione Sovietica significa per me indirizzare la politica tedesca per lungo tempo. La Germania riprende così un corso politico vantaggioso per entrambi gli Stati nei secoli trascorsi. Il governo del Reich è quindi deciso ad accettare in tal caso tutte le conseguenze di un cambiamento così radicale.
  3. Accetto la bozza del patto di non aggressione che ha consegnato il suo Ministro degli Esteri, Sgr. Molotov, ma ritengo urgentemente necessario chiarire al più presto le questioni ad esso connesse.
  4. La sostanza del protocollo aggiuntivo desiderato dal governo dell’Unione Sovietica potrà, ne sono convinto, essere chiarita nel più breve tempo possibile se un politico tedesco responsabile potrà venire di persona a Mosca a negoziare. Altrimenti, al governo del Reich non è chiaro come il problema del protocollo supplementare possa essere chiarito e risolto in breve tempo.
  5. La tensione tra Germania e Polonia è diventata intollerabile. Il comportamento polacco verso una grande potenza è tale che una crisi può sorgere da un giorno all’altro. La Germania è comunque decisa, di fronte a tale arroganza, a curare d’ora in poi gli interessi del Reich con tutti i mezzi a sua disposizione.
  6. A mio parere, è auspicabile che non si perda tempo, in considerazione delle intenzioni dei due Stati di entrare in un nuovo rapporto reciproco. Propongo quindi, nuovamente, di ricevere il mio ministro degli Esteri martedì 22 agosto, ma al più tardi mercoledì 23 agosto. Il ministro degli Esteri del Reich ha tutti i poteri per redigere e firmare il patto di non aggressione nonché il protocollo. Una permanenza del ministro degli Esteri del Reich a Mosca più lunga di uno o due giorni al massimo è impossibile vista la situazione internazionale. Sarei lieto di ricevere quanto prima la sua risposta. Adolf Hitler».

Il 21 agosto alle 3 del pomeriggio Schulenburg consegna a Molotov il telegramma di Hitler, due ore dopo, sempre Molotov comunica all’ambasciatore la risposta di Stalin: Ribbentrop sarà ricevuto a Mosca il 23 e non più il 26 o 27 come era stato indicato il 20 precedente. Molotov aggiunge che «era desiderio del governo sovietico che domani mattina [22 agosto], al più tardi, fosse pubblicato a Mosca un breve comunicato sulla prevista conclusione di un patto di non aggressione e sull’arrivo “imminente” del ministro degli Esteri del Reich».

Stalin rispose a Hitler lo stesso 21 agosto:

«21 agosto 1939. Al Cancelliere del Reich tedesco, A. Hitler. La ringrazio per la lettera. Spero che il patto di non aggressione tedesco-sovietico porti ad una netta svolta in direzione di un miglioramento nelle relazioni politiche tra i nostri paesi. I popoli dei nostri paesi hanno bisogno di relazioni pacifiche tra loro. L’assenso del governo tedesco alla conclusione di un patto di non aggressione fornisce le basi per eliminare le tensioni politiche e per stabilire la pace e la collaborazione tra i nostri paesi. Il governo sovietico mi ha incaricato di informarvi che è d’accordo sull’arrivo del Sgr. von Ribbentrop a Mosca il 23 agosto. J. Stalin».

6. A Mosca Stalin, Molotov e Ribbentrop firmano i patti nazi-sovietici

Così, mentre fra il 21 e il 22 agosto 1939 le trattative tra Sovietici e Franco-Britannici si concludevano con un nulla di fatto, due giorni dopo, il 23 agosto, atterrava a Mosca una delegazione tedesca guidata dal ministro degli Esteri Joachim von Ribbentrop e composta da una quarantina di persone (diplomatici, consulenti, interpreti, fotografi), ben più autorevole e dotata delle credenziali necessarie, il consenso di Hitler, a concludere un accordo epocale tra Nazisti e Sovietici.

L’accoglienza all’aeroporto si rivelò coreograficamente singolare e impensabile fino a poco tempo prima, caratterizzata com’era dall’accostamento delle rispettive bandiere con falce e martello e svastica; quelle con la svastica, difficilmente reperibili, erano state sequestrate negli studi cinematografici, dove erano state impiegate nei documentari di propaganda antinazista.

Ad accogliere Ribbentrop e la delegazione tedesca erano i massimi dirigenti dell'Urss, il capo supremo, Josif V. Stalin, e il suo ministro degli Esteri Vjaceslav Molotov, a significare l'importanza e le grandi aspettative che i Sovietici nutrivano. A giudizio di Schulenburg, Molotov era manifestamente lusingato dalla decisione di Hitler di affidare le trattative a un esponente della più alta gerarchia nazista come Ribbentrop.

Nei giorni precedenti il 23 i termini dell’accordo erano stati scambiati per telegrafo tra Mosca e Berlino.

Il 23 agosto Ribbentrop informa Berlino che la discussione tra Stalin, Molotov e Ribbentrop ha avuto inizio e che ha preso una direzione favorevole ai Tedeschi. «È contemplata la firma di un protocollo segreto sulla delimitazione delle reciproche sfere di interesse in tutta l’area orientale, per il quale mi sono dichiarato pronto in linea di principio». Qui Ribbentrop lascia intendere che ad avere l’iniziativa circa il protocollo segreto siano i Sovietici, come, d’altra parte aveva dichiarato Hitler nel punto 4. del suo telegramma a Stalin.

«Il fatto che Hitler nel telegramma accennasse alla “tensione” divenuta “insopportabile tra la Germania e la Polonia”, a causa della quale “ogni giorno può scoppiare una crisi”, era il chiaro segnale della guerra e un grosso errore tattico. L’ammissione da parte di Hitler di trovarsi a corto di tempo indebolì la sua posizione di fronte a Stalin, il quale naturalmente sfruttò questa debolezza. Con il telegramma [di Hitler] in mano, Stalin chiuse i colloqui con le potenze occidentali, che non gli avrebbero mai potuto concedere le conquiste territoriali cui Hitler, che voleva la guerra, era costretto ad accondiscendere» [Weber: 58].

Così, nella notte tra il 23 e il 24 agosto 1939 i ministri degli Esteri, Joachim von Ribbentrop e Vjaceslav Molotov, firmarono un Patto di non aggressione tra Germania e Unione Sovietica e un Protocollo aggiuntivo segreto che rimasero in vigore fino al 22 giugno 1941, quando la Germania invase l’Urss.

Questo il resoconto tedesco dei convenevoli a conclusione della firma.

«Nel corso della conversazione, Stalin ha proposto spontaneamente un brindisi al Fuhrer: “So quanto la nazione tedesca ami il suo Fuhrer; vorrei quindi bere alla sua salute”.
Molotov ha bevuto alla salute del ministro degli Esteri del Reich e dell’ambasciatore, il conte von der Schulenburg.
Molotov ha brindato a Stalin, osservando che era stato Stalin – attraverso il suo discorso del marzo di quest’anno [10 marzo al XVIII congresso del Partito], che era stato ben compreso in Germania – a produrre l’inversione delle relazioni politiche.
Molotov e Stalin hanno brindato ripetutamente al patto di non aggressione, alla nuova era delle relazioni tedesco-russe e alla nazione tedesca.
Il ministro degli Esteri del Reich a sua volta ha proposto un brindisi a Stalin, al governo sovietico e ad uno sviluppo favorevole delle relazioni tra Germania e Unione Sovietica.
Al momento del congedo, Stalin si è rivolto al Ministro degli Esteri del Reich con queste parole: Il governo sovietico prende molto sul serio il nuovo Patto. Poteva garantire sulla sua parola d’onore che l’Unione Sovietica non avrebbe tradito il suo partner».

7. I patti nazi-sovietici e la Polonia

Il testo del Patto di non aggressione, curato personalmente da Stalin [Salomoni: 227-228] si componeva di sette articoli che impegnavano i contraenti a rinunciare ad ogni atto di aggressione reciproca e a qualsiasi alleanza con potenze che volessero attaccare la Germania o l’Urss. I due paesi si impegnavano poi, qualora fossero sorti contrasti di qualsiasi natura, a risolverli attraverso discussioni amichevoli o, se necessario, ricorrendo a commissioni arbitrali. Il patto doveva rimanere in vigore per un periodo di dieci anni con la clausola che, qualora una delle parti contraenti non lo avesse denunciato un anno prima della scadenza, esso si intendeva automaticamente rinnovato per altri cinque anni.

È importante mettere in evidenza che nel patto nazi-sovietico era assente una clausola che abrogasse il patto stesso nel caso in cui una delle due parti fosse coinvolta in una guerra di aggressione contro un paese terzo – clausola invece presente in altri patti di non aggressione firmati dall’URSS prima dell’agosto 1939. L’assenza di tale clausola spianò la strada all’invasione tedesca della Polonia. [Cienciala 2003: 220] D’altra parte, la presenza di una tale clausola avrebbe annullato ogni interesse di Hitler a un accordo con i Sovietici (e dunque al patto appena sottoscritto) in occasione del progettato e preannunciato attacco alla Polonia.

La bozza del patto recava questo postscriptum: «Il presente patto avrà validità solo se viene contemporaneamente firmato un protocollo speciale, che copra i punti di politica estera a cui le parti contraenti sono interessate. Il protocollo sarà parte integrante del patto». [cit. in Salomoni: 9]

Il Protocollo aggiuntivo segreto, firmato sempre nella notte tra il 23 e il 24 agosto, si componeva di quattro articoli, che si riportano integralmente [da Salomoni: 10]:

«Al momento della firma del trattato di non aggressione tra la Germania e l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche, i sottoscritti plenipotenziari di entrambe le parti hanno discusso, in forma strettamente riservata, la questione della delimitazione delle sfere di rispettivo interesse nell’Europa orientale. La discussione ha portato al seguente risultato:

  1. Nel caso di una riorganizzazione politico-territoriale delle regioni che appartengono agli Stati Baltici (Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania), il confine settentrionale della Lituania è contemporaneamente il confine tra le sfere d’interesse della Germania e dell’Urss. Inoltre, l’interesse della Lituania riguardo alla regione di Vilna viene riconosciuto da entrambe le parti.
  2. Nel caso di una riorganizzazione politico-territoriale delle regioni che appartengono allo Stato polacco, il confine tra le sfere d’interesse della Germania e dell’Urss correrà approssimativamente lungo la linea dei fiumi Narew, Vistola e San. Se risponda agli interessi delle due parti conservare uno Stato polacco indipendente e quali debbano essere i confini di questo Stato, è questione che può essere chiarita definitivamente solo alla luce di uno sviluppo politico ulteriore. In ogni caso, entrambi i Governi risolveranno tale questione mediante un mutuo accordo amichevole.
  3. Per quanto riguarda l’Europa sud-orientale, la parte sovietica sottolinea il proprio interesse per la Bessarabia. La parte tedesca dichiara un completo disinteresse politico per queste regioni.
  4. Questo protocollo sarà mantenuto rigorosamente segreto da entrambe le parti.
  5. Mosca, 23 agosto 1939
    A nome del governo dell'Urss: V. Molotov
    Per il governo tedesco: J. Ribbentrop».

Da sottolineare alcuni aspetti rilevanti. 1) Due stati, sostenuti da ideologie molto diverse – comunismo e nazismo –, in spregio di ogni diritto, decidevano che altri stati indipendenti e popoli sovrani – Finlandia, Estonia, Lettonia, Lituania – dovessero essere considerati semplici pedine in funzione dei loro disegni di revanscismo autocratico e imperialista. 2) Un altro stato – Polonia – poteva essere spartito e scomparire come entità autonoma e indipendente, se questo fosse tornato utile a Germania e Unione Sovietica, contraenti di un patto segreto. 3) Una regione, la Bessarabia, appartenente alla Romania, veniva assegnata al controllo sovietico garantito dal disinteresse tedesco. 4) Il protocollo segreto, lungi dall’essere una mera appendice di un patto altrimenti storicamente valido, come i Sovietici sostennero in seguito, ne costituiva la ragione fondante.

8. I Polacchi dopo i patti nazi-sovietici: disinformazione e inganni

I Polacchi, che pure non si facevano illusioni sulle intenzioni sovietiche, furono del tutto sorpresi dalla notizia dell’accordo Molotov-Ribbentrop, perché ritenevano che, nel breve periodo, il conflitto ideologico comunismo-nazismo non potesse dar luogo ad un accordo di cooperazione Urss-Germania.

Inoltre, i Polacchi pensavano che l’Urss non potesse accettare una spartizione tedesco-sovietica della Polonia perché avrebbe portato l’esercito e l’aviazione nazisti molto più vicini a Mosca, costituendo così una minaccia mortale per l’Unione Sovietica. I Polacchi trovavano poi conferma di tali convinzioni nelle dichiarazioni sovietiche secondo cui l’Urss – nel quadro dell’accordo commerciale firmato nel febbraio 1939 – avrebbe fornito alla Polonia materie prime e forse anche forniture militari e supporto aereo in caso di guerra tedesco-polacca. [Cienciala 2003: 156]

E questo anche se, già nel febbraio 1938, il generale Kazimierz Sosnkowski avvertiva: «Gli eventi indicano che nell’immediato sarà il turno dell’Austria e successivamente quello della Cecoslovacchia. In seguito toccherà alla Polonia, infine alla Francia». [cit. in Cavallucci 2010: 328-329]. Avvisi reiterati all’inizio del 1939 in diversi rapporti dalle ambasciate e dai consolati che segnalavano la possibilità concreta di accordi tra Sovietici e Tedeschi; il rappresentante polacco a Helsinki riferì che in ambienti militari francesi circolava la voce che in autunno la Polonia sarebbe stata spartita per la quarta volta. Il 7 giugno esponenti ungheresi riportarono voci che davano per certa una imminente intesa tedesco-sovietica. Il 3 luglio fu il console polacco a Berlino a segnalare che, secondo un informatore fidato, Sovietici e Tedeschi stavano per concludere un accordo commerciale e un patto politico di ampia portata. [Cavallucci 2010: 331-332, 339-341]

Beck e il gruppo dirigente polacco si erano però convinti che le notizie di un avvicinamento dei Nazisti ai Bolscevichi fossero parte un bluff escogitato o dai Tedeschi per impaurire Varsavia e provocarne il cedimento, o dai Sovietici per indurre le potenze occidentali ad accogliere le richieste di Stalin.

Nel 1934 Piłsudski riteneva che per altri quattro anni la posizione della Polonia non avrebbe corso rischi, Beck, invece, era convinto che un accordo tedesco-sovietico che mettesse in pericolo l’esistenza o l’indipendenza della Polonia fosse una possibilità molto più lontana perché «Il sistema tedesco e quello bolscevico erano talmente simili da non potersi tollerare reciprocamente. L’uno escludeva l’altro». [cit. in Cavallucci 2010: 328]

Beck non sapeva che Sovietici e Tedeschi il 23 agosto, oltre a un patto di non aggressione, avevano firmato un protocollo segreto che, in effetti, avrebbe causato di lì a poco la quarta spartizione della Polonia. Ma, oltre ai firmatari, altri erano a conoscenza dei termini del documento segreto. Il 24 agosto Hans von Herwarth, collaboratore dell’ambasciatore tedesco a Mosca, aveva informato l’ambasciata americana e questa, a sua volta, il Dipartimento di Stato. Anche i Francesi avevano ricevuto informazioni piuttosto precise, come pure gli Estoni e gli Italiani. [Kornat: 152-153; Cavallucci 2010: 358-359; Kotkin: 901]

Ma i Polacchi non furono informati. I Francesi, addirittura, pur sapendo, mentirono. Il 31 agosto il ministro degli Esteri francese Georges Bonnet riferì all’ambasciatore polacco a Parigi Juliusz Łukasiewicz che tramite un accordo segreto Urss e Germania avevano deciso che Bessarabia (rumena), Lituania, Estonia, Lettonia sarebbero andate ai Sovietici, mentre la Finlandia sarebbe stata divisa tra i due firmatari. Łukasiewicz chiese se nel documento fosse menzionata anche la Polonia, ma Bonnet rispose di non averne notizia, anche se, fin dal 25 agosto, era stato informato dall’ambasciatore a Berlino Robert Coulondre dell’intero contenuto del protocollo segreto. [Kornat: 153]

I Polacchi dunque non furono informati; perché? Sandra Cavallucci azzarda una spiegazione: «Forse si pensò a un ulteriore bluff. Forse si ritenne ormai ineluttabile il crollo della Polonia, oppure si temette che, conoscendo le intenzioni sovietiche, i Polacchi avrebbero infine optato per il male da loro ritenuto minore, ovvero la Germania, annullando tutti gli sforzi anglo-francesi intesi a contenere (moralmente) l’aggressione. E, forse, se la Polonia avesse scelto di unirsi alla Germania accettandone le richieste, Hitler avrebbe potuto decidere di rivolgersi a ovest, verso la Francia. In ogni caso, si tratta di interrogativi che devono ancora trovare una spiegazione convincente». [Cavallucci 2010: 360-361]

Sempre a proposito della mancata informazione da parte dei Francesi, A.M. Cienciala opina: «Forse il premier francese Daladier sperava che, nonostante il patto di non aggressione tedesco-sovietico, l’assenso francese al passaggio delle truppe sovietiche attraverso la Polonia – comunicato al generale Joseph Doumenc a Mosca la notte del 21 agosto – potesse ancora consentire la conclusione di un’alleanza franco-britannico-sovietica per dissuadere Hitler dalla guerra, anche se ciò significava l’annessione sovietica della Polonia orientale». [Cienciala 2003: 201]

Ma, quand’anche i Polacchi fossero stati informati, cosa avrebbero potuto fare? «È probabile che i Polacchi non avrebbero ugualmente accettato le richieste tedesche pur di evitare un’invasione sovietica. Se avessero saputo che si preparava un’altra spartizione, essi avrebbero comunque deciso di combattere con tutte le loro forze ben sapendo che sarebbero stati sconfitti […] la Polonia poteva scegliere soltanto tra la resistenza o la resa incondizionata. Ed è ragionevole presumere che, anche conoscendo le intenzioni sovietiche, essa avrebbe scelto la resistenza». [Cavallucci 2010: 361]

Ma anche dopo il 23 agosto le relazioni polacco-sovietiche non subirono alcun brusco mutamento fino al momento dell’invasione, il 17 settembre. Beck e i suoi collaboratori ritenevano che il patto di non aggressione, se aveva lasciato mano libera alla Germania di attaccare la Polonia e scatenare un conflitto europeo, non implicava però che anche l’Urss avrebbe attaccato; anzi, sempre secondo i Polacchi, Stalin sarebbe rimasto neutrale per intervenire quando i contendenti si fossero reciprocamente sfiniti, per conseguire gli obbiettivi, tipicamente sovietici, di garantirsi la sicurezza tramite l’espansione territoriale. Beck e i suoi erano sicuri che Gran Bretagna e Francia, in caso di aggressione, sarebbero intervenute, per cui l’Urss, per evitare un conflitto con le potenze occidentali, sarebbe rimasta neutrale.

I Polacchi non potevano immaginare che Britannici e Francesi avrebbero sì dichiarato guerra ma senza poi portare alcun aiuto concreto dal punto di vista militare (come in effetti doveva accadere), tant’è che non avevano alcun piano operativo di intervento sul campo; i piani operativi dei Francesi si limitavano alla difesa sulla linea Maginot ma non prevedevano nessuna attività contro i reparti tedeschi e non vi furono interventi dell’aviazione alleata per timore delle ritorsioni della Luftwaffe. [Cavallucci 2010: 380, 357, 402-403; Kornat: 151, 156]

9. La guerra e nuovi patti nazi-sovietici

Il 1° settembre 1939 la Germania invase la Polonia occidentale e il 17 settembre l’Unione Sovietica la Polonia orientale. Era l’esito perseguito di comune accordo da Sovietici e Tedeschi con la firma del Trattato di non aggressione e del Protocollo segreto.

Ad integrazione dei documenti del 23-24 agosto, il 28 settembre Germania e Unione Sovietica sottoscrissero un Trattato confinario e di amicizia di cinque articoli che si riportano qui sotto:

«Il governo dell’Urss e il governo tedesco, dopo la disintegrazione dell’ex Stato polacco, considerano loro unico compito quello di ristabilire la pace e l’ordine in questo territorio e di assicurare ai popoli che vi risiedono un’esistenza pacifica, conforme alle loro specificità nazionali. A tale fine, hanno raggiunto il seguente accordo:

Articolo I
Il governo dell’Urss e il governo tedesco stabiliscono, come confine dei reciproci interessi statali nel territorio dell’ex Stato polacco, una linea, che è segnata sulla mappa qui allegata e che sarà descritta in modo più dettagliato nel protocollo aggiuntivo.

Articolo II
Entrambe le parti riconoscono come definitivo il confine dei reciproci interessi statali stabilito nell’articolo I e rimuoveranno qualsiasi interferenza di potenze terze in tale decisione.

Articolo III
La necessaria riorganizzazione statale nel territorio situato ad ovest della linea indicata nell’articolo I attiene al governo tedesco, nel territorio ad est di questa linea al governo dell’Urss.

Articolo IV
Il governo dell’Urss e il governo tedesco considerano la suddetta riorganizzazione come una base sicura per l’ulteriore sviluppo delle relazioni amichevoli tra i loro popoli.

Articolo V
Il presente trattato è soggetto a ratifica. Lo scambio dei documenti relativi alla ratifica dovrà aver luogo quanto prima a Berlino». [in Salomoni: 21-22]

Il 28 settembre venne inoltre sottoscritto un altro protocollo segreto che recitava: «I sottoscritti plenipotenziari durante la stipula del Trattato tedesco-sovietico di delimitazione e amicizia hanno accertato il loro accordo su quanto segue: Tutt’e due le parti non tollereranno nei loro territori alcuna agitazione polacca che estenda la sua azione ai territori dell’altra parte. Impediranno ogni accenno a un’agitazione di tal genere nei loro territori e si metteranno reciprocamente al corrente delle misure adottate per raggiungere questo scopo». [in Weber: 241]

Con il patto di non aggressione e, soprattutto, con i protocolli segreti, Hitler aveva concesso a Stalin tutto quel che aveva chiesto: la Polonia orientale, i Paesi Baltici, la Bessarabia; la Germania, in cambio, avrebbe ottenuto ciò che doveva conquistarsi, ma, soprattutto, la garanzia che, evitato un accordo sovietico-britannico-francese, non si sarebbe trovata, come durante la Prima guerra mondiale, a combattere su due fronti. [Bohlen: 84]

Territori polacchi occupati dai Tedeschi e dai Sovietici nel 1939.

14. Territori polacchi occupati dai Tedeschi e dai Sovietici nel 1939.
(Gross, Revolution from Abroad)

I Sovietici negarono per oltre cinquanta anni l’esistenza dei protocolli segreti e seppellirono le copie in russo in archivi inaccessibili fino al 1992 quando, presidente Boris El’cin, vennero ritrovati durante il lavoro di declassificazione e riordinamento degli archivi del Pcus.

L’esercito tedesco entrò in Polonia il 1° settembre 1939. Il confronto con l’esercito polacco era del tutto impari quanto a soldati mobilitati, equipaggiamento, armi, potenza di fuoco. Eppure, per la Wehrmacht non fu un attacco semplice, tant’è che lasciò sul terreno 50.000 vittime (più di quelle in Francia nel 1940). [Ciechanowski in Leslie: 212]

Varsavia cadde il 27 settembre, ma alcune unità continuarono a combattere fino al 5 ottobre; la resistenza delle forze armate polacche era durata cinque settimane, sforzo straordinario se si pensa che l’anno seguente i Tedeschi sconfissero Francesi, Inglesi, Belgi e Olandesi in poco più di sei settimane.

Nel settembre del 1939 Tedeschi e Sovietici avevano portato a termine la quarta spartizione della Polonia.

 

* Il grassetto è sempre dell’autore dell’articolo.

** Il primo numero indica la pagina, il secondo il numero del documento.

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