di Pietro Soddu
La critica severa, argomentata, appassionata dei miti fondanti del nazionalismo sardista e indipendentista e dell’idea consolatoria di una presunta “costante resistenziale sarda” nel libro di Pietro Soddu, Sardegna. Il tempo non aspetta tempo. (V. Medde)
Il Federalista. La Sardegna ha conosciuto la scrittura molto tardi. La sua cultura primigenia è rimasta orale molto più a lungo delle altre culture antiche. Dalla scrittura sappiamo che tutte avevano uno o più miti fondativi. Noi non abbiamo avuto niente che si assomigli a un mito fondativo. Molti popoli hanno eroi, poeti, divinità. Le culture maggiori hanno una grande letteratura, hanno i libri sacri. Di tutto questo non c’è traccia in Sardegna. Ciò che sappiamo ci viene dall’archeologia. Giovanni Lilliu, il nostro più grande archeologo, ci ha spiegato che un tempo molto lontano siamo vissuti liberi e organizzati in un sistema di piccole unità sparse nell’isola, avvicinate forse da un patto tra loro in una forma di Stato paragonabile a quella di una confederazione a base cantonale.
Probabilmente questa è la spiegazione più giusta, visto che la matrice tribale, e non quella nazionale statuale, domina da sempre il nostro atteggiamento politico. Io rimango convinto che la politica, come tutte le attività umane, ha come base la conoscenza. Dalla vita vissuta e dal bisogno di dare alle cose un significato, una causa e un fine viene tutto il resto: compresa la legge, il sistema di convivenza, il governo, cioè la politica. Delle grandi civiltà conosciamo i libri, quelli sacri: la Bibbia, il Vangelo, il Corano, le Upanisad e tutti gli altri racconti sacri. Per i popoli del Mediterraneo più vicini a noi conosciamo i grandi poeti, come Omero e Virgilio. Qualcuno ha sostenuto che tra i grandi legislatori del passato oltre a Mosè si debbano inserire anche i poeti tragici greci: Sofocle, Eschilo, Euripide. Mosè ha inventato le tavole della legge e i poeti greci hanno indicato le vie per realizzare una convivenza pacifica in una società ancora dominata da impulsi elementari. Antigone e le tavole della legge mosaica dominano ancora la nostra mente con la loro suggestione simbolica.
Niente di tutto questo esiste nella cultura più antica dell’isola. Non un poeta, non un profeta, non un legislatore, non un mito. Solo una popolazione senza scrittura, senza leggi, senza una religione codificata, senza miti. La letteratura sarda, compresa quella più recente, non si è neppure posta il problema di colmare un vuoto così grande e così doloroso per noi. Ci siamo tutti accontentati di un mito incompleto, una pseudonarrazione sul tempo e sulla vita dei nuragici, e poi più nulla per lunghissimo tempo fino ad Arborea, ad Angioy e più tardi alla Brigata “Sassari”. Troppo poco per fondare un vero sentimento nazionalitario, una vera coscienza nazionale. Troppo poco e troppo ambiguo, e quindi non in grado di creare sentimenti profondi e solidi che infatti si compendiano e si riducono a un atteggiamento negativo, a una “coscienza infelice”. In tutto il lungo tempo della nostra storia documentato dalla scrittura nessun poeta ha cantato i nostri miti, nessuno ha illustrato e tramandato il sentimento nazionale, nessuno ha pianto sulla fine della nostra libertà perché forse non c’è mai stata.
… una coscienza nazionale sarda non è mai esistita. La teoria della “costante resistenziale” è molto recente e si fonda su concetti moderni che non sono applicabili a realtà antiche che niente hanno a che vedere con i moderni concetti di Stato, di sovranità e di nazione-Stato. Ma anche a volerla comunque usare essa avrebbe una notevole componente di ambiguità, quasi un doppio significato. Da un lato spiegherebbe la forza e la volontà dei sardi, o di una parte di essi, nel reggere l’urto e lo scontro, il rifiuto di arrendersi, piegarsi, omologarsi e scomparire. Dall’altra però potrebbe significare il rifiuto ad aprirsi agli altri, a misurarsi con le novità culturali, con le tendenze del tempo, con il senso della storia per paura di soccombere o per un atavico senso di inferiorità.
Più che una società dotata di una “costante resistenziale”, allora, quella sarda si potrebbe definire una società dotata di una “resilienza naturale”, una società che assorbe gli urti, modifica temporaneamente l’assetto e la forma per tornare presto quella che era prima.
Questa possibile duplicità del carattere dei sardi, resistenti e/o resilienti, può spiegare le divisioni della nostra società in tante componenti territoriali distinte e spesso contrapposte, che ci sono ancora oggi, a dimostrazione che i due elementi sono persistenti e non dimostrano l’esistenza di una nazione sarda unitaria, semmai il suo contrario, e comunque che la nostra rivendicata sovranità nazionale ha basi fragili e recenti.
… la Sardegna, la cui storia non registra mai una vera tendenza nazionalista. La spinta a diventare indipendenti, se mai c’è stata, è scomparsa con la fine di Arborea. La cosiddetta “costante resistenziale”, della quale si è anche parlato tra noi, non ha avuto mai la rilevanza e la dignità di una “coscienza nazionale” statuale etnica, culturale, dinastica. Anzi una “coscienza nazionale” nel senso che intendiamo oggi non è mai esistita neppure al tempo dei nuragici, che secondo gli studiosi erano divisi in tante unità cantonali incapaci di fondersi in un unico Stato.
Nella storia millenaria della Sardegna l’indipendenza non compare mai, se non in forma confusa e ambigua e in tempi recenti, molto dopo la comparsa del nazionalismo in Europa che ci ha visto impegnati a costruire la nazione italiana. Oggi il bisogno di riconoscimento così diffuso in Sardegna può essere soddisfatto meglio con la trasformazione della Repubblica italiana in senso federale, cioè nel senso auspicato anche da alcuni grandi sardi già nell’Ottocento e nella prima metà del Novecento.
L’Autonomista. … la soluzione, all’altezza dei compiti e delle attese del popolo sardo, è puntare su una nuova Autonomia. A questo si arriva se non si sopravvalutano alcuni fattori identitari e/o naturali e non si sottovaluta l’assenza di quei fattori sociali, storici ed economici che hanno impedito la formazione di una vera o compiuta coscienza nazionale: tra i quali l’assenza di classi dirigenti autonome, la debolezza delle città e dei ceti intellettuali e commerciali urbani e delle strutture ecclesiastiche, la carenza di presenze produttive in grado di garantire l’autosufficienza e il surplus, l’assenza di un regime di proprietà terriera perfetta, la mancata crescita e influenza di una borghesia rurale in funzione di riequilibrio dello strapotere urbano, l’inesistenza di una capitale riconosciuta da tutti.
Al posto di tutti questi fattori positivi la Sardegna ha conosciuto permanenti conflitti territoriali e istituzionali per l’egemonia tra Cagliari e Sassari, Iglesias e Alghero, tra nobiltà locale e nobiltà esterna, tra borghesia commerciale e borghesia delle professioni, tra nativi e “forestieri” che ne hanno ritardato lo sviluppo in tutti i sensi, anche in quello identitario. La stessa lingua sarda, sebbene fosse stata utilizzata da Arborea e negli Statuti comunali, non è mai diventata la lingua nazionale perché è stata sopraffatta dal catalano, dal castigliano e infine dall’italiano.
Colmare tutti questi vuoti non è facile oggi come non è stato facile in tutte le altre epoche che hanno visto fallire ogni tentativo di dare alla Sardegna una dimensione politica e istituzionale specifica e distinta.
Sarà per questo che l’idea di Sardegna si lega più alla sua dimensione geografico-naturalistica che alla sua storia e agli altri fattori politico-sociali che normalmente vengono considerati costitutivi dell’identità statuale.
La Sardegna ha attraversato la storia in condizioni di dipendenza; ha conosciuto umilianti dominazioni, sofferenze e ingiustizie. La sua gente non ha mai avuto il controllo dell’isola, non ha conosciuto libertà e giustizia. Ha visto al comando persone e gruppi non nativi fino alla nascita della Repubblica.
Se l’idea di Sardegna è rimasta intatta, se anche oggi la parola Sardegna è più ricca ed evocativa di senso della parola Piemonte, Lombardia, Lazio, ciò non vuol dire che sia una nazione che deve diventare Stato, ma piuttosto una nazione che sopravvive e si realizza in qualsiasi sistema statuale si trovi.
Brani estratti dal libro di Pietro Soddu, Sardegna. Il tempo non aspetta tempo. Dialogo tra un Autonomista, un Federalista e un Sovranista, Edes, Sassari 2014, pp. 19-21, 73-74, 138, 144-145
■ Per leggere una presentazione complessiva del libro si veda I Sardi cosa vogliono?
■ Per leggere una nota sul significato delle figure di Prometeo ed Epimeteo nel Dialogo si veda Prometeo in Sardegna