di Paola Manca
1. Stampa tratta dall’opera di Giuseppe Cossu La coltivazione de’ gelsi e propagazione de’ filugelli in Sardegna.
La recente pubblicazione del libro La signora della seta di Ada Lai ha acceso nuovamente i riflettori su una figura quasi del tutto sconosciuta della storia dell’imprenditoria femminile in Sardegna.
Francesca Sanna Sulis, nobildonna di Muravera – riscoperta da un appassionato studio di Lucio Spiga pubblicato nel 2004 – è stata un’intraprendente donna d’affari dalla mentalità illuminata nella Sardegna del Settecento, a lungo amministrata da G.B. Lorenzo Bogino, ministro per gli Affari di Sardegna di Carlo Emanuele III. Nata a Muravera (SU) nel 1716 in una famiglia di ricchi possidenti – il padre Francesco Sulis apparteneva ad una potente famiglia del Sarrabus, la madre Caterina Porcella era una nobile di Quartucciu (CA) – Francesca ricevette un’educazione aperta, con a disposizione i libri di una ricca biblioteca e venne coinvolta nella gestione delle proprietà di famiglia a Muravera e Quartucciu, fino a quando, morto il padre, il fratello maggiore non si occupò direttamente dell’amministrazione dei beni.
Passò l’infanzia e la prima giovinezza prevalentemente a Muravera; successivamente, Francesco Sulis decise di trasferirsi stabilmente nel palazzo di Cagliari in via “Dritta”, l’attuale via La Marmora nel quartiere di Castello. Qui, Francesca ebbe modo di frequentare e di stringere amicizia con i giovani delle famiglie nobili che vivevano in città come i figli dei marchesi Manca di Villahermosa. Particolare fu il legame che strinse con Anna Manca di Villahermosa, più grande di lei di quindici anni ma con la quale trovò grande intesa e affinità e che, successivamente, l’aiuterà a far conoscere la sua attività d’imprenditrice fuori dall’Isola a Como e Milano.
Nel 1735 sposò Pietro Sanna Lecca, brillante giurista destinato a fare carriera alla corte dei Savoia. Già avvocato del patrimonio del fisco con il compito di difendere gli interessi del regno nelle cause giudiziarie, Pietro Sanna Lecca divenne membro del Supremo Consiglio di Sardegna, organo istituito nel 1721 per occuparsi di tutte le questioni più rilevanti del governo dell’Isola; nel 1774 ottenne da re Carlo Emanuele III l’incarico di riunire in un’unica raccolta tutte le leggi del regno emanate nel primo mezzo secolo di dominazione sabauda in Sardegna, opera che venne pubblicata l’anno successivo con il titolo Editti, pregoni e altri provvedimenti emanati pel Regno di Sardegna. Per svolgere questo incarico si trasferì a Torino dove spesso era raggiunto dalla moglie; il soggiorno nella capitale del regno consentì alla Sulis di intrecciare importanti relazioni per lo sviluppo della sua attività imprenditoriale avviata in Sardegna.
Il tempo di Francesca Sanna Sulis (1716-1810)
Secolo di epocali cambiamenti, il Settecento gettò le fondamenta per il mondo moderno che si sarebbe consolidato nel corso dei secoli successivi: la rivoluzione agricola in Inghilterra che avrebbe fatto da propulsore all’industrializzazione, avviando un processo di radicale cambiamento per l’economia e la società europea; l’indipendenza degli Stati Uniti d’America nella quale affondano le radici la potenza economica e politica di una nazione destinata a condizionare le sorti del mondo intero; la Rivoluzione francese con la quale, seppur tra tante contraddizioni, nasce lo stato moderno con la partecipazione popolare. E a insinuarsi tra questi avvenimenti, provocandoli e condizionandoli, il pensiero rigenerante dell’Illuminismo che si affermò un po’ ovunque nel mondo occidentale.
La Sardegna venne, potremmo dire suo malgrado, coinvolta da questi importanti avvenimenti principalmente come pedina di scambio nello scacchiere europeo in fermento. La guerra di successione spagnola, che si svolse all’inizio del Settecento coinvolgendo le principali potenze europee, ha fondamentali conseguenze anche per l’Isola, determinando la fine della dominazione spagnola e, con l’arrivo dei Savoia, il rientro nell’orbita politica italiana. Le alterne vicissitudini della guerra tra i due pretendenti al trono di Spagna (Filippo di Borbone duca d’Angiò, nipote di Luigi XIV, e Carlo d’Asburgo, secondogenito dell’imperatore d’Austria Leopoldo I) faranno precipitare la Sardegna in un periodo di grande instabilità politica a cui pose fine il trattato dell’Aja del 1720 che, confermando il precedente patto di Londra del 1718, assegnò definitivamente la Sardegna ai Savoia. Tuttavia, le clausole di cessione del regno di Sardegna alla dinastia sabauda prevedevano il mantenimento delle antiche istituzioni spagnole come gli Stamenti e la Reale Udienza oltre ai possedimenti feudali degli aristocratici spagnoli nell’Isola. La “perfetta fusione” tra Piemonte e Sardegna si avrà solo nel 1848 per esplicita richiesta dei Sardi.
Nella sua lunga vita, Francesca Sulis ebbe modo di assistere ad altri avvenimenti importanti per l’Isola come il tentativo di conquista da parte della Francia. Nel 1793, infatti, il governo rivoluzionario francese organizzò una spedizione franco-corsa per conquistare la Sardegna. Il viceré Balbiano non pianificò in modo efficiente la difesa dell’Isola; ciò provocò la reazione del parlamento sardo, in particolare dello stamento militare (il parlamento, istituzione di origine spagnola con potere consultivo, era diviso in tre Stamenti: militare, composto da feudatari; reale, formato dai rappresentanti delle città; ecclesiastico) che si mobilitò per difendere Cagliari minacciata dalla flotta francese.
Il tentativo di conquista francese fallì in quanto i Sardi, in maniera alquanto rocambolesca, riuscirono a respingere le truppe che cercavano di sbarcare nei pressi del capoluogo. Il mancato riconoscimento da parte del sovrano dei meriti dei Sardi nella difesa dell’Isola e il rifiuto opposto alle richieste fatte dai rappresentanti degli Stamenti che miravano, tra le altre cose, al conferimento delle cariche della Sardegna ai Sardi, scatenarono le rivolte dell’aprile 1794 contro i Piemontesi.
Alla sollevazione contro i Piemontesi seguì un’altra insurrezione ben più drammatica e violenta: le lotte antifeudali portate avanti dalle popolazioni contadine ma anche dai ceti borghesi delle città in particolare di Sassari. A capo di questa sommossa fu Giovanni Maria Angioy (1751-1808) che, tuttavia, malgrado il consenso popolare, si trovò ben presto isolato e fu costretto all’esilio per aver salva la vita.
Nel marzo 1799, a causa dell’invasione del Piemonte da parte delle truppe napoleoniche, il sovrano Carlo Emanuele IV si trasferì a Cagliari per restarci fino al 1814. La perdita temporanea di Torino restituì a Cagliari il ruolo di capitale del regno.
I tentativi di riforme per l’ammodernamento della Sardegna
Francesca Sanna Sulis portò avanti la sua attività di imprenditrice della seta nella seconda metà del XVIII secolo quando i Savoia avevano preso possesso dell’Isola da qualche decennio e si apprestavano a varare riforme in campo economico, giuridico e sociale che consolidassero il loro governo.
I Savoia, in effetti, si ritrovarono a governare un territorio non ambito (avrebbero preferito di gran lunga tenere il dominio della Sicilia che era stata temporaneamente assegnata loro dal trattato di Utrecht del 1713), con una possibilità di manovra limitata dalle clausole internazionali. Le loro aspirazioni non miravano ad un controllo del Mediterraneo, non avendo una flotta adeguata, ma alla ricca e vicina Lombardia oramai saldamente in mano austriaca. La Sardegna era, inoltre, un territorio economicamente arretrato e culturalmente molto distante dal Piemonte. Ciò non ostante verranno portati avanti dei difficili, in parte discutibili, tentativi di riforme per colmare il divario con gli stati di terraferma.
Protagonista assoluto di questo processo fu Giovanni Battista Lorenzo Bogino (1701-1784) nominato nel 1759 ministro per gli Affari di Sardegna da re Carlo Emanuele III. Bogino, che aveva già ricoperto importanti incarichi per i Savoia, era un uomo di governo capace e competente; amico di Ludovico Antonio Muratori (1672-1750, storico e giurista, autorevole esponente dell’illuminismo moderato e cattolico) cercò di portare avanti delle riforme di stampo illuminista nel campo dell’amministrazione pubblica, della cultura e dell’economia.
Consapevole della necessità di formare in Sardegna un ceto dirigente capace di intendere le direttive del nuovo governo sabaudo e, allo stesso tempo, sensibile alle esigenze locali, Bogino puntò, per prima cosa, a rivitalizzare le due università dell’Isola che vennero fornite di nuove Costituzioni, collocate in edifici dignitosi e dotate di biblioteche; cercò, inoltre, di convincere validi docenti a trasferirsi dal Piemonte per insegnare nelle rifondate università sarde. Nel 1759 venne istituita a Cagliari la Scuola di chirurgia che formò i primi veri chirurghi sardi. Bogino si interessò in prima persona al miglioramento degli studi umanistici, coinvolgendo Gesuiti e Scolopi che detenevano il monopolio dell’istruzione media, definendo un corso di studi diviso in sette classi con l’adozione di appositi manuali (inviati gratuitamente da Torino). Nel 1770 favorì l’apertura a Cagliari della Stamperia reale in modo che non fosse necessario far arrivare ogni pubblicazione dal continente.
Per quanto concerne il settore economico, la sua innovazione più importante fu il riordino dei Monti frumentari[1] , già istituiti dagli Spagnoli fin dal 1624 ma con scarsi risultati. Il nuovo regolamento non solo permetteva ai contadini di sottrarsi alla morsa degli usurai ma favorì e incrementò la produzione cerealicola dell’Isola.
Incentivò anche la produzione di altre colture come il tabacco e il gelso avvalendosi di intelligenti collaboratori tra cui spiccava Giuseppe Cossu (1739-1811), nominato nel 1767 segretario della Giunta generale per l’amministrazione dei Monti frumentari, incarico che ricoprì a lungo fornendo al governo puntuali relazioni annuali sull’attività dei Monti. Aggiornato sulle moderne teorie riguardanti la produzione agricola, si preoccupò di tradurre in sardo, nella variante campidanese, non solo il Regolamento dei Monti frumentari ma anche le nuove disposizioni del governo in materia agricola. Amico di donna Francesca scrisse un trattato bilingue, italiano e sardo campidanese, sulla coltura dei gelsi e sulla bachicoltura dal titolo La coltivazione de’ gelsi e propagazione de’ filugelli in Sardegna pubblicato nella Regia stamperia di Cagliari nel 1789. L’opera, divisa in due tomi, era rivolta nella sua prima parte agli agricoltori «perché ad essi si aspetta la piantagione e la coltivazione dei gelsi», nella seconda «alle gentili femmine sarde perché riguarda a dar vita ed educazione a’ filugelli, operazione che si eseguisce in casa, e che richiede la pazienza, l’attenzione e la man dilicata del femminil sesso» [2].
L’attività di G.B. Lorenzo Bogino riguardo la Sardegna si concluse nel 1773 quando alla morte di Carlo Emanuele III, venne licenziato dal nuovo re Vittorio Amedeo III, lasciando, nella memoria popolare dei Sardi, una fama sinistra a causa dell’amministrazione inflessibile della giustizia.
Donna Francesca tra famiglia e impresa
Intanto, Francesca Sulis, nel suo palazzo di Cagliari, si dedicava alla famiglia, accudendo anche i fratelli e la sorella più piccoli, e ai beni che aveva ereditato dalla madre.
Incoraggiata dal marito Pietro, nel tempo libero da impegni familiari e mondani, si dedicava al suo sogno di stilista e imprenditrice. Aveva iniziato da giovanissima a creare abiti per sé e per le amiche, utilizzando la seta prodotta nell’Isola e, appena ne ebbe la possibilità, avviò nelle sue proprietà una fiorente produzione serica avvalendosi dell’aiuto di persone fidate, alcune delle quali erano cresciute con lei a Muravera. Ebbe così inizio un’efficiente manifattura tessile che arriverà ad impiegare nei laboratori di Quartucciu e nella coltivazione del gelso fino a 750 persone.
3. Immagine dal libro di Giuseppe Cossu La coltivazione de’ gelsi e propagazione de’ filugelli in Sardegna.
Donna Francesca utilizzò i terreni più vicini a Quartucciu per la coltura dei gelsi che venne estesa anche ad alcuni terreni di Muravera dove, preferibilmente, si portava avanti la produzione di ciò che serviva per il fabbisogno quotidiano della famiglia e dei lavoranti. Dai coniugi Sulis Lecca venne incentivata anche la produzione di tessuti in lana. Favorendo gli incroci tra pecore sarde e altre provenienti dal Nord Africa, si ottenne una lana più morbida che veniva lavorata a domicilio da donne esperte che avevano il compito di controllare la produzione e formare le lavoratrici.
Lo studio di Lucio Spiga, citato nell’introduzione di questo articolo, mette in evidenza non solo l’intraprendenza imprenditoriale di donna Francesca, che potrebbe sembrare già inusuale per una nobildonna sarda del Settecento, ma anche la lungimiranza riguardo la gestione dei suoi opifici e di coloro che vi lavoravano. Organizzò, infatti, delle vere scuole di formazione dove esperti nella lavorazione della seta, provenienti dal Piemonte e dalla Lombardia, istruivano gli operai e, soprattutto, le lavoranti che si occupavano di raccogliere, filare e tessere la seta. Inoltre, con l’aiuto di religiose, favorì la formazione sui rudimenti della puericultura di giovani donne che si sarebbero occupate dei neonati e dei bambini più piccoli mentre le madri erano impegnate nei laboratori. Furono aperte anche delle scuole per istruire i bambini più grandi. Per questa sua attività a favore della formazione dei giovani, i Savoia le attribuirono post mortem un diploma d’onore come «benemerita della pubblica istruzione».
La produzione della seta in Sardegna
L’attività della Sulis va inserita in una temperie determinata da provvedimenti legislativi e incentivi promossi dal governo sabaudo oltre che da appassionati studi condotti da intellettuali isolani sulla coltivazione dei gelsi e l’allevamento di bachi da seta.
La prima importante notizia sulla presenza della bachicoltura in Sardegna risale alla seconda metà del 1500 e si trova nell’opera De Chorographia Sardiniae di Francesco Fara (1543-1591) il quale afferma «… il sorbo ed il moro sono assai comuni soprattutto nelle campagne di Sassari, ove, da pochi anni in qua, s’iniziò ad allevare i bachi da seta che – mirabile spettacolo della natura e meraviglioso e quasi inspiegabile artificio – formano una stoffa di seta veramente preziosa e se ne confezionerebbe una quantità anche maggiore se vi fosse un più ampio numero di artigiani che lavorino la seta»[3] .
Durante la dominazione spagnola, la coltura del gelso in Sardegna venne particolarmente caldeggiata nelle sedute del parlamento Vivas del 1624. Sebbene la gelsicoltura non abbia raggiunto mai risultati significativi in epoca spagnola, la seta veniva prodotta in alcune realtà locali soprattutto per realizzare i costumi tradizionali. A praticare la sericoltura furono, ad esempio, i padri gesuiti che, nel 1665, si stabilirono a Oliena e operarono come bachicoltori nel territorio del vicino villaggio di Orgosolo.
La ripresa e l’incentivazione della coltivazione dei gelsi fu parte del progetto di rinascita e ammodernamento dell’agricoltura sarda voluto dal governo sabaudo. I setifici erano già un’importante voce dell’economia del Piemonte dove fin dal XVI secolo si praticava la gelsicoltura e si produceva la seta grezza. A partire dalla metà del Seicento, furono adottatati i mulini da seta idraulici alla bolognese che consentirono un aumento della produzione e un’eccellenza della seta prodotta. Il centro di produzione più importante divenne la cittadina di Racconigi, ma il duca Carlo Emanuele II volle impiantare un mulino da seta idraulico anche a Venaria Reale dove stava sorgendo una stupenda residenza dei Savoia. Nel Settecento la produzione della seta piemontese raggiunse una tale rilevanza da rappresentare il 75-80% dei beni esportati all’estero. Il settore venne regolamentato da precise norme che prevedevano, tra l’altro, il divieto di espatrio di tecnici e lavoratori specializzati. Per quanto riguarda la Sardegna, gli sforzi vennero portati avanti soprattutto dopo il 1770 quando durante la seduta del Supremo Consiglio di Sardegna si incoraggiò la ripresa della produzione della seta.
Oltre a Giuseppe Cossu, un altro acceso sostenitore della sericoltura fu il parroco di Senorbì Antonio Purqueddu (1743-1810), che scrisse un poemetto bilingue, italiano e sardo campidanese, per incentivarne la produzione.
Nella seconda metà del Settecento, in Sardegna erano principalmente diffuse due varietà di gelso: il gelso nero e il gelso bianco. Le due varietà presentavano caratteristiche differenti ma risultavano entrambe adatte per l’allevamento dei bachi e per la produzione di seta di ottima qualità. Per gli esperti, il gelso bianco presentava il vantaggio di una produzione fogliare più abbondante e anticipata di circa 15/20 giorni; il Purqueddu, da parte sua, sosteneva la superiorità del gelso nero e a conferma delle sue affermazioni portava ad esempio proprio la seta prodotta da donna Francesca Sulis e sua sorella «che avendo qualche anno vendute quelle libbre di seta che ricavavano, venne a loro pagata a prezzo assai più vantaggioso di quel che pagasi quella di qualunque altro paese».
Donna Francesca e l’incontro con Giorgio Giulini
La Sulis, spronata dai risultati ottenuti, andava sempre più allargando il suo campo d’azione riservando alcune stanze dei laboratori di Quartucciu a sartoria dove si realizzavano abiti destinati alle signore dell’alta società isolana e non solo. Infatti, l’attività imprenditoriale di donna Francesca, ben presto, travalicò i confini dell’Isola portandola ad intrecciare importanti legami commerciali con i produttori del Nord Italia. Frequenti furono i contatti con gli imprenditori di Como, come testimoniano gli atti notarili dove il suo nome è, in qualche caso, associato alla sua amica Anna Manca di Villahermosa a sua volta imprenditrice della seta.
Come si è già detto, a causa degli incarichi del marito, donna Francesca passava lunghi periodi a Torino dove intrattenne rapporti sociali importanti per le sue imprese in Sardegna. L’incontro determinante per la sua attività di imprenditrice fu quello con il conte milanese Giorgio Giulini (1714-1780). Giulini fu un uomo di profonda cultura: archeologo, musicologo, storico appassionato scrisse un’opera monumentale sulla storia di Milano. Era anche un proprietario terriero, produttore ed esportatore di seta in diversi paesi europei.
A Milano donna Francesca poté contare sul sostegno della sua vecchia amica Anna Manca di Villahermosa che la introdusse nei salotti della buona società facendole incontrare il Giulini con il quale divenne socia in affari. L’accordo con il conte milanese è un’ulteriore prova dell’ottima qualità della seta prodotta nei laboratori della Sulis; inoltre il clima mite della Sardegna favoriva la schiusa dei bachi un mese prima rispetto al Piemonte e alla Lombardia e questo consentiva di immettere prima sul mercato i tessuti e i filati rendendoli particolarmente competitivi. Grazie a Giulini la seta di donna Francesca venne introdotta nel mercato europeo ed esportata in Polonia, Ucraina e Russia.
Francesca Sulis morì nel 1810 all’età di 94 anni a Quartucciu, non lasciando eredi diretti che potessero portare avanti la sua straordinaria avventura imprenditoriale. Nel suo testamento destinò la gran parte dei suoi beni ai poveri di Quartucciu e Muravera, interessandosi, ancora una volta, dell’istruzione dei più piccoli; le sue aziende, di lì a poco tempo, vennero abbandonate e la memoria di questa donna forte e volitiva rimase avvolta nell’oblio tranne che nei luoghi dove aveva operato in maniera tanto innovativa e precorritrice dei tempi.
A Muravera esiste oggi il Museo dell’imprenditoria femminile a lei dedicato.
Note
[1] I Monti frumentari o granatici, avevano lo scopo di conservare le sementi e distribuirle ai contadini poveri.
[2] Giuseppe Cossu, La coltivazione de’ gelsi e propagazione de’ filugelli in Sardegna, tomo secondo, Cagliari 1789.
[3] G.C. Contini Il Codice M.S. S.P. 6. 5. 52 del De Chorographiae Sardiniae, tesi di laurea Sassari A.A. 1986/87, cit. in Gerolama Carta Mantiglia, Antonio Tavera, La seta in Sardegna, ISRE, Nuoro 1992.
Bibliografia
► Su Francesca Sanna Sulis:
Lucio Spiga, Francesca Sanna Sulis, Workdesign, Selargius 2004.
Ada Lai, La signora della seta, Edizioni Della Torre, Cagliari 2021.
Giornata di studi in onore e in memoria di Francesca Sanna Sulis (1716-1810): imprenditrice, donna, sarda: atti del Convegno: Pavia, presso l’Aula Foscolo dell’Università degli studi, 6 marzo 2010.
► Sulla produzione della seta in Sardegna:
Gerolama Carta Mantiglia, Antonio Tavera, La seta in Sardegna, ISRE, Nuoro 1992.
► Sulla storia della Sardegna nel Settecento:
Gian Giacomo Ortu, La Sardegna sabauda: tra riforme e rivoluzione, in Storia della Sardegna 4, Laterza, Bari 2002.
Carlino Sole, La Sardegna sabauda nel Settecento, Chiarella, Sassari 1984.
► Sulla produzione della seta in Piemonte:
Giuseppe Bracco, Torino sul filo della seta, Archivio Storico della città di Torino, Torino 1992.
Giuseppe Chicco, La seta in Piemonte, 1650-1800: un sistema industriale d’ancien régime, Franco Angeli Editore, Milano 1995.
► Su Francesca Sanna Sulis:
www.treccani.it/enciclopedia/francesca-sulis
► Sulla produzione della seta in Sardegna:
La seta ad Orgosolo (ISRE 1991): www.youtube.com/watch?v=4hvSRrPHxZg
► Sulla produzione della seta in Piemonte:
www.museotorino.it
www.piemontetopnews.it/la-bachicoltura-e-il-primato-piemontese-nel-settore-della-seta/
www.terredellaseta.it/
www.amicireggiavenariareale.com/
► Opere di Cossu e Purqueddu
Giuseppe Cossu, La coltivazione de’ gelsi e propagazione de’ filugelli in Sardegna, tomo secondo, Cagliari 1789.
Antonio Purqueddu Il tesoro della Sardegna