di Alfredo Pomogranato
1. Il percorso artistico di Arrigo Visani (1914-1987)
Quando Arrigo Visani approda in Sardegna nel 1961, è già un valente pittore e affermato ceramista con una ricca esperienza artistica costruita a partire dagli studi superiori alla Regia Scuola d’Arte di Faenza diretta in quegli anni dal grande Gaetano Ballardini e che annoverava illustri maestri-insegnanti come Domenico Rambelli, Anselmo Bucci, Maurizio Korach e Pietro Melandri. Lì, aveva conseguito il doppio diploma del Corso Tecnico e Artistico. Con questa cassetta degli attrezzi ben fornita torna nella sua città natale, Bologna, per entrare nell’Accademia di Belle Arti. Gli studi universitari saranno importanti per la sua formazione pittorica che passa attraverso la guida di insegnanti del calibro di Giorgio Morandi e Virgilio Guidi.
Luoghi e nomi importanti, quindi, nel percorso di studi del giovane Visani, nomi che aiutano a capire meglio come in lui la fiamma artistica si sia accesa presto, sempre alimentata, però, da un inesauribile spirito di curiosità e ricerca che lo renderanno, per inventiva e vena poetica, uno dei protagonisti dell’attività della laboriosa Cooperativa Ceramica di Imola nella seconda metà degli anni ’40, dove spesso amava fermarsi Giò Ponti in cerca di nuove e originali forme da impiegare nella produzione industriale.
Fig. 1 – Arrigo Visani, Gli sposi
Relegata in una posizione ancillare, seppure mai del tutto abbandonata, l’attività pittorica che negli anni ’30 aveva costituito l’esordio della sua carriera artistica con dipinti metafisici alla Carrà (Fig. 1), Visani si volge verso la produzione ceramica e dal ’51 insegna Materie artistiche e Tecnologia ceramica presso la Scuola d’Arte Ceramica di Castelli in Abruzzo, diretta allora da Giorgio Baitello.
Qui, nell’isolato e piccolo centro alle falde del Gran Sasso, dove vive al suo fianco la donna che rimarrà a lui legata per tutta la vita, la decoratrice Anna Gherardi, conosciuta ai tempi della Cooperativa Ceramica di Imola, rimarrà per un decennio, svolgendo, oltre all’insegnamento, un’opera di continuo impegno creativo e realizzativo, alimentata pure dalle frequenti e interminabili conversazioni in uno straordinario cenacolo di artisti che insegnavano e operavano nel montano paesino abruzzese come Tramonti, Saturni, Mattucci, e a cui si aggiungevano, per visite di amicizia e nel nome di una comune passione per la ceramica, la coppia francese Diato e Del Pierre, amici e collaboratori di Picasso, il friulano Zanussi e ancora Giò Ponti, che aveva intuito il genio poetico e inventivo dell’artista ai tempi di Imola.
2. Le maioliche di Castelli
Fig. 2 – Arrigo Visani, Caffettiera
Fig. 3 – Arrigo Visani, Scaldino
Accese da vivaci e sgargianti colori ottenuti dagli antichi forni a legna di Castelli, prendono ora vita raffinate maioliche ispirate da oggetti di uso domestico e quotidiano e che costituiranno il marchio personale e inconfondibile (una vera e propria firma senza nome) di una produzione colta e popolare insieme, dove l’idea di funzione e utilità lascia spazio alla mera fruizione estetica. Ecco allora una lunga sequenza di oggetti che creano un’umile mitologia fatta di borracce, pentole, vertiginose caffettiere napoletane a due, tre e anche quattro beccucci (Fig. 2), bottiglie, scaldini (Fig. 3), impreziositi da campiture geometriche con dentro figurine da favola, disegnate con un elegante tratto sottile, legato ai modi di Franco Gentilini, e che sembrano narrare, prese singolarmente o nell’insieme, memorie di un’infanzia adesso sognata, personaggi ironici e malinconici con baffetti e canottiere, in mutandoni e guêpiére, o in equilibrio su grandi biciclette. Il teatrino della vita, insomma, su cui aleggia un’aura seria e malinconica, divertita e circense, dove gli attori e gli oggetti recitano muti la stupefazione di un’esistenza che ha suggerito a Lara Vinca Masini «un dolce spirito crepuscolare, da Nonna Speranza; figurine e oggetti che nella loro sottile, commovente ironia, ci rendono intatte certe indimenticabili nostalgie infantili» (Giornale del mattino, 1961).
Una produzione all’insegna di una personalissima sintesi di sapienza tecnologica e grande libertà compositiva che ridava nuova linfa alla gloriosa tradizione ceramica di Castelli e che esportata nelle mostre nazionali e internazionali gli valsero premi e riconoscimenti, come il III premio Nove per un pannello istoriato nel ‘56; a Vicenza nello stesso anno il Primo Premio Esportazione; a Faenza, nel 1957, il premio ENAPI; a Messina il primo premio Concorso Galatese; a Milano il premio Industria e Commercio; a Lerici, nel 1959, la medaglia d’oro, solo per citarne alcuni.
In occasione della Triennale di Milano del 1954 e in collaborazione con Guerrino Tramonti e Serafino Mattucci progetta e realizza uno spettacolare manufatto artistico ceramico, conosciuto come Il terzo cielo di Castelli, riscoperto in anni recenti dopo un lungo oblio e oggetto di numerose mostre a carattere nazionale. Il terzo cielo, un capolavoro di arte ceramica composto da 259 tavelloni di 50-70 centimetri per una superficie totale di cento metri quadrati, rivisita in chiave moderna lo storico e famoso soffitto maiolicato della chiesa di San Donato di Castelli che per Carlo Levi è la Cappella Sistina della maiolica.
Divenuto «l'artista più castellano» (Nerio Rosa: p. 27) Visani è ormai un protagonista della ceramica italiana e il decennio abruzzese, seguito da un anno a Sesto fiorentino, diventa un formidabile preludio al fecondo soggiorno oristanese degli anni ’60.
3. Arrigo Visani ad Oristano
Arrigo Visani ha 47 anni quando arriva nella città arborense. Era nato a Bologna il 1° aprile del 1914, la qual cosa lo portava ad autodefinirsi ironicamente “un pesce d’aprile”. Su indicazione di Filippo Figari, il Ministero della Pubblica Istruzione-Ispettorato per l’Istruzione Artistica, lo aveva incaricato di fondare e dirigere (cosa che farà fino al 1969), l’Istituto Statale d’Arte, scuola lungamente attesa e sospirata e per la quale istituzione si batteva, dai banchi del Consiglio comunale cittadino, il giovane Antonio Corriga.
Al neonato Istituto d’Arte, Visani conferisce immediatamente un indirizzo di ricerca progettuale, nel quadro di una identità sarda assunta sovente come fonte primaria di ispirazione, confermando in ciò quello stesso atteggiamento culturale che a Castelli lo aveva fatto avvicinare e studiare la ceramica popolare.
Nasceva in quegli anni, sotto l'impulso creativo di Visani e di altri docenti-artisti, una piccola Bauhaus oristanese, luogo di conservazione della memoria, ma anche di sperimentazione e culto delle forme, che operava in condizioni logistiche davvero difficili, poiché la scuola si costituiva non solo di ben «cinque plessi dislocati in vari punti della città più o meno distanti dalla sede centrale e tutti in ambienti di fortuna» (Benedetto Casagrande) ma, già avviata, doveva ancora provvedere al «compimento delle attrezzature necessarie […] e fare istanza urgente per chiedere l’acquisto di un forno per la lavorazione del grès, di due piccoli forni di prova e di un forno fusorio per il trattamento e la composizione degli smalti», come si legge in una lettera del carteggio intercorso tra Figari e Visani nel tardo 1962.
Di questo validissimo gruppo di insegnanti-artisti, alcuni dei quali giovanissimi, espressamente scelti da Visani, ricordiamo, oltre al già citato Benedetto Casagrande che succederà a Visani nella direzione dell’Istituto, grandi pittori come Carlo Contini e Antonio Amore, un raffinato disegnatore come Giorgio Scarpa, il castellano Angelo Sciannella, ceramista di razza, ancora oggi più operoso che mai, l’eccellente torniante e formatore Antonio Manis, Pietro Usai (formatosi prima a Oristano presso la Scuola professionale della ceramica di Vincenzo Urbani, poi al Liceo artistico di Sassari) e, infine, il mai dimenticato poeta e letterato Giuseppe Pau, insegnante di Storia Dell’Arte.
Come un abile orchestrale, e grazie alle sue capacità di mediazione e conversazione garbata, Visani guida e organizza sapientemente il lavoro e il talento di queste personalità, in qualche caso dal carattere non facile, e al contempo orienta la scuola verso la ricerca, la sperimentazione di nuovi materiali come il grès e lo studio della composizione degli impasti e degli smalti, nonchè nuove tecniche di lavorazione ceramica, inserendola ben presto nel circuito nazionale ed esportando il nome della città di Oristano fuori dall’Isola, grazie pure ai tanti riconoscimenti e premi ottenuti.
4. L’opera ceramica nella Scuola di via Bellini ad Oristano
È trascorso solo un anno dal suo arrivo in città, quando la Scuola elementare di via Bellini, nata nel 1960, incarica Visani di realizzare una serie di mattonelle e pannelli ceramici per arredarne e decorarne gli ambienti. La genesi di tale incarico è oscura, poiché le ricerche d’archivio svolte presso la stessa Scuola e poi presso l’Archivio storico di Oristano, non hanno dato esiti circa l’origine della commissione delle opere fatta a Visani.
Ma l’imponente lavoro fu verosimilmente realizzato tra il 1962 e il 1964, poiché in documenti ritrovati e risalenti all’agosto del 1964 si attesta che il Comune di Oristano «considerato che il prof. Arrigo Visani, in precedente esecuzione ha dato ottima prova […], delibera di affidare allo stesso Visani l’incarico della compilazione dei bozzetti delle opere d’arte e di abbellimento» delle Scuole elementari del Sacro Cuore. Il passaggio del documento appena citato, in cui si allude all’ottima prova data dal Visani «in precedente esecuzione», non può che riferirsi alle ceramiche di via Bellini, per cui ci pare che le date di realizzazione sopra riportate siano del tutto attendibili.
Appare anche plausibile, sempre sulla scorta di documenti affini concernenti opere di abbellimento e decorazione in altre scuole cittadine, che l’incarico fu affidato a Visani previa approvazione dei bozzetti dell’opera da eseguire, da parte di una Commissione appositamente nominata e composta dal Sindaco, dal progettista della scuola, dal Sovrintendente alle gallerie e da un artista da questi nominato.
Fig. 4 – Mattonelle recuperate
Le opere ceramiche di via Bellini furono certamente realizzate grazie alla cosiddetta “legge del 2%”, ovvero una legge del 29 luglio 1949, n. 717 Norme per l'arte negli edifici pubblici, che si rifaceva ad una legge risalente al 1942 (L. 11 maggio 1942, n.839, legge Bottai). Sulla base di questa legge, una quota non inferiore al 2% del preventivo ipotizzato per la costruzione di edifici pubblici si poteva infatti destinare a opere di abbellimento e decorazione degli edifici stessi.
Sulla originaria collocazione delle opere negli spazi dell’edificio non abbiamo certezze, se non per i cinque pannelli, composti ognuno da due o più mattonelle insieme, allogati nei due ingressi della Scuola, poiché le dimensioni dei pannelli stessi, dove meglio si percepisce e comprende la raffinata perizia tecnica e la vena compositiva e creativa di Visani e il buono stato di conservazione a distanza di oltre cinquant’anni, lasciano intuire che questi non sono mai stati spostati dalla originaria collocazione.
5. Mattonelle recuperate
Diversa sorte è toccata alle altre mattonelle che, per lavori di ristrutturazione e adeguamento degli spazi, svolti a più riprese nell’edificio, furono rimosse, in qualche caso forse in modo maldestro, oppure, come da testimonianze raccolte presso il personale non docente, si staccarono per semplice scollamento dalla parete e conservate in un locale della scuola.
Alcune di queste, a seguito di una Mostra organizzata in occasione della prima edizione del Tornio di via Figoli che si svolse nel 2004 e per gentile concessione della Scuola di via Bellini, costituirono una parte della sezione che l’Istituto Statale d’Arte dedicò alla figura e all’opera del suo primo direttore. Dopo quella mostra, le mattonelle ceramiche di Visani, unitamente alle altre, rividero la luce nel febbraio 2013: erano complessivamente quindici mattonelle ceramiche smaltate (Fig. 4), ognuna dalle dimensioni di circa 36,5 x 33 cm. e un pannello ceramico costituito da due mattonelle, una disposta sopra l’altra, dalla dimensione di 66 x 36,4 cm.
Date le condizioni delle ceramiche, molte delle quali presentavano segni d’invecchiamento, rotture di varie entità e, sul retro, tracce cospicue di malta collosa e vernice delle pareti, l’imponente corpus è stato al centro di un Progetto di recupero, restauro e valorizzazione, sostenuto dal Comune di Oristano.
Tale progetto comprendeva pure opere ceramiche di Carlo Contini (coinvolto anch’egli nell’opera di abbellimento e decorazione della scuola) il quale nella sua intensa e inesausta attività pittorica che lo colloca tra i grandi del Novecento sardo, non rinunciava a una appassionata produzione ceramica cominciata negli anni ’50 presso la Scuola per la Ceramica di Vincenzo Urbani, situata nei locali della Piazza Eleonora.
6. Le ceramiche di via Bellini
Le ceramiche di via Bellini sono delle maioliche, tecnicamente dette “biscotti”, cotte una prima volta a una temperatura compresa tra i 900-950°. Colorate e verniciate, sono state poi rimesse nel forno per una seconda cottura, questa volta con una temperatura leggermente inferiore (900-920°) affinchè non vi fossero rischi per la smaltatura.
Diverse tra loro per dimensioni, ma accomunate da medesime finalità didattiche e vivacità di spirito creativo, confermano la naturale immediatezza e il fecondo dinamismo decorativo dell’autore, del tutto a suo agio con forme colorate e dall’aspetto ingenuo che ci trasportano con estrosa leggerezza nell’incantato mondo dell’infanzia. Come accade per quello che – per felice ispirazione e raffinatezza tecnica – può essere considerato il capolavoro dell’intero ciclo ceramico di via Bellini: Le storie di Pinocchio (122 x 195 cm.) (Fig. 5), raccontate, tra divertite divagazioni, dentro il corpo di una balena.
Qui la grandezza di Visani si coglie prima ancora che nell’originale tessuto narrativo, nell’invenzione della superficie su cui svolgere il racconto: il grande pannello è realizzato con piastrelle in terra refrattaria ossidata il cui effetto brunito simula il piano di una lavagna sul quale l’arioso pennarello bianco dell’artista, come fosse un acuto gessetto, disegna in rilievo personaggi, animali e oggetti in cui spiccano per ognuno di essi piccoli dettagli smaltati di rosso, giallo e azzurro. Un’opera di classe elevatissima per sapienza tecnologica e invenzione straripante, eppure controllata da un segno fine ed elegante.
Fig. 6 – Arrigo Visani, Lettere T e G
Fig. 7 – Arrigo Visani, Piccoli scolari (particolare)
In una tale produzione non potevano mancare le Lettere dell’alfabeto (72,5 x 66 cm.) (Fig. 6): il Granchio e la Giostra, il Treno e il Tamburo sono immagini di uno spirito ancora divertito e fanciullesco, delicati arabeschi geometrici dove il disegno sembra farsi ancora più preciso e sottile per esaltare i colori.
Calata più che mai negli spazi che la ospitano, i Piccoli scolari (cm. 109 x 66) (Fig. 7), nella sua semplicità iconografica, è un’opera immersa in quell’aura crepuscolare così congeniale all’artista e che ne informa l’hortus animae. Il pannello è costituito da due file sovrapposte di mattonelle, ognuna delle quali accoglie una coppia di scolaretti dalle nette scriminature, allineati frontalmente in una sequenza da lanterna magica. Chiusi dentro grembiulini ordinati e sormontati da colletti rigidi e immacolati, o abbigliati in costumi primo-novecento come il piccolo marinaretto, il loro sguardo malinconico e stupito ci ferma e ci trattiene nel ricordo nostalgico di una scuola che non c’è più.
Le opere fin qui trattate appartengono al sopraccennato gruppo di cinque pannelli presumibilmente mai staccati dalla originaria parete. Tra quelle che hanno invece vissuto alterne vicende espositive vi sono delle ceramiche in cui Visani, sempre aggiornato sulla storia e le tradizioni locali dei luoghi in cui operava, rielabora col suo personalissimo stile motivi e simboli dell’arte e della cultura sarda.
Fig. 8 – Arrigo Visani, Pavoncelle
Ecco quindi la dolce e mite “pavoncella” (Fig. 8), tipico emblema di fertilità e legata da sempre alla vita agro-pastorale dell’Isola, prendere forma in tre versioni diverse, geometricamente declinate e accostate a un altro marchio di sardità, la pintadera, antico manufatto ceramico di origini nuragiche, le cui valenze estetiche non avevano mancato di attirare l’attenzione di un artista avvertito e colto come Visani.
Il tema della pavoncella tornerà qualche anno più tardi, ripetuto ossessivamente in un pannello decorativo composto da 32 piastrelle realizzato da Visani con i docenti e gli allievi dell’Istituto d’Arte, e nella stessa scuola ancora conservato.
Fig. 9 – Guerriero nuragico di Abini
Fig. 10 – Arrigo Visani, Guerrieri-robot
Del Guerriero nuragico, Visani realizza tre versioni, assumendo sempre come modello di partenza il noto Demone guerriero (Fig. 9) con quattro occhi e lunghe corna che sormontano l’elmo, ritrovato nel villaggio di Abini, a Teti. Nella piccola tavola bipartita, conservata oggi nella Presidenza, sono riprodotti in scala ridotta due guerrieri affiancati che presentano le stesse fattezze dell’originale; nel pannello posto nell’ingresso principale della scuola (Fig. 10) il ceramista faentino sfoggia la sua vena creativa e colorista e aggiorna il milite sardo, presentato anche qui in doppia figura, con forme robotizzate, ancora oggi moderne, dove stilizzate punte di lance e manici di spada, con l’immancabile “pintadera” di complemento, inquadrano i soldati-robot, consegnando così alla scuola una delle opere più decorative del ciclo ceramico di via Bellini.
7. Recupero, restauro, riconoscimento dell’opera di Arrigo Visani
Il restauro delle opere, svolto con competenza e passione da Raffaele Cau, anch’egli ceramista, e l’intero Progetto di recupero hanno permesso così di promuovere e valorizzare un cospicuo patrimonio ceramico finalmente riconoscibile grazie ai cartellini identificativi e alle schede biografiche che corredano le opere, fruibile dalla scuola stessa oltreché dal pubblico.
Ma, prima ancora, recupero e restauro rappresentano il doveroso tributo e riconoscimento a un maestro della ceramica di solida e rigorosa preparazione tecnica, dallo stile inconfondibile e che «da vero artista – come ha scritto Antonio Amore – non teneva alla notorietà». Dedito esclusivamente all’insegnamento e alla direzione di un Istituto appena nato, Visani trascorreva giornate intere a scuola, ponendo sempre sé stesso e la propria esperienza a disposizione di allievi e docenti, e «se nascevano discussioni e controversie in seno al corpo docente, spesso organizzava e proponeva cene conviviali per dirimere ogni tipo di contrasto», come rievoca in un affettuoso ricordo il prof. Antonio Manis.
Affabile e cordiale nei rapporti umani e professionali quindi, ma dal punto di vista artistico aristocraticamente chiuso nel vagheggiamento di un mondo di colori e forme ceramiche, pronto a seguire soltanto il proprio cuore di fanciullo in una continua flânerie che lo ha portato a cambiare sovente i propri sentieri secondo gli umori e le esigenze imposte dall’arte e dalla vita.
Fig. 11 – Arrigo Visani, Bastimento
L’opera ceramica di via Bellini è solo una delle tre tappe fondamentali del soggiorno esistenziale e professionale in Sardegna di Visani. Meritano un’ulteriore e più approfondita indagine il ciclo ceramico della Scuola elementare oristanese del “Sacro cuore”, di cui non si esclude una prossima puntata su queste pagine, ma soprattutto andrebbe ordinata e investigata l’intera attività professionale e artistica svolta presso l’Istituto Statale d’Arte di cui Visani è stato direttore dal 1961 al 1969 e che costituisce l’epicentro di un rinnovato modo di pensare e fare la ceramica, per quanto concerne i materiali da impiegare, le alte temperature dei forni per la cottura degli stessi e nuove forme e colori dei manufatti.
Terminata l’esperienza oristanese, Visani torna a Forlì per dirigere il locale Istituto d’Arte e qui si concluderà la sua carriera scolastica. Ma nella casa-studio prosegue la sua attività creando ceramiche e dipingendo quadri, quasi a riprendere un discorso interrotto in gioventù.
Muore a Forlì il 26 dicembre 1987, ma la sua arte vive e si muove dentro il suo bastimento perennemente in viaggio (Fig. 11).
Bibliografia
Alberto Mingotti, Arrigo Visani e l’invenzione della caffettiera impertinente,in «Faenza», Gruppo editoriale Faenza editrice, Colledara (Te) 1991.
Giorgio Scarpa, Arrigo Visani, un ricordo, in «Faenza», Gruppo editoriale Faenza editrice, Colledara (Te) 1991.
Gian Carlo Bojani, Arrigo Visani: Maioliche degli anni Cinquanta, Studio 88, Faenza 1992.
Nerio Rosa, La tradizione del moderno nella ceramica di Castelli, Editrice Andromeda Multimedia, 1994.
Franco Bertoni e Jolanda Silvestrini, Ceramica italiana del Novecento, Mondadori Electa, Milano 2005.
Comune di Oristano, Il tornio di via Figoli. La ceramica di Oristano, Oristano 2005.
Antonello Cuccu, Tra un barbarico horror vacui e una sintesi di gusto moderno, in Ceramiche. Storia, linguaggio e prospettive in Sardegna, Ilisso, Nuoro 2007.