Mitologia e politica. Noterella in margine al libro di Pietro Soddu
Sardegna. Il tempo non aspetta tempo. Dialogo tra un Autonomista, un Federalista e un Sovranista
di Vincenzo Medde
Il dominio del mercato e della tecnica
Per mettere mano a un progetto politico di qualche ambizione, così si argomenta nel Dialogo, occorre disporre di una corretta analisi della condizione umana, segnata oggi dalla vittoria dell’ideologia del mercato e da una secolarizzazione che ha allontanato gli uomini prima dalla trascendenza e dalla fede e poi dalle grandi ideologie che hanno caratterizzato gli ultimi secoli, ciò che poi ha indebolito anche la politica come idea generale della possibilità di cambiare il mondo.
In questo mondo secolarizzato e post-ideologico domina la tecnica che esercita un potere senza vincoli giuridici, morali, religiosi.
Così, certo, Prometeo ha vinto, ma la sua vittoria ha incatenato gli uomini invece di liberarli. E ora, prima di metter mano ad un nuovo ed alternativo progetto, occorre sanare i guasti del dominio tecnico agendo con sapienza, coraggio, prudenza, come ha fatto il fratello di Prometeo, Epimeteo, «colui che agisce dopo» (p. 168), il quale agendo dopo è in grado di mettere a frutto l’esperienza. «Prometeo dovrà lasciare il campo ad Epimeteo, cioè affidarsi all’esperienza se non vuole che il mondo diventi sempre più post-umano.» (p. 172)
Prometeo ed Epimeteo secondo Platone
Così si esprimono, su Prometeo ed Epimeteo, sia il Federalista che l’Autonomista, due delle voci che animano il dialogo rappresentato nel libro; l’uno e l’altro, in questa caratterizzazione, forse anche alla luce di riletture attualizzanti (I. Illich1), attribuiscono ai due fratelli ruoli diversi da quelli loro assegnati dalla tradizione ellenica, da Platone ad esempio. Ma, tenuto anche conto della deriva di talune critiche della ragion tecnica basate su “diagnosi epocali e negative della modernità” (Paolo Rossi), non è forse inutile riprendere il filo e il senso della narrazione antica.
Paul Manship
PROMETEO, 1934
Rockefeller Center, New York
Nel Protagora di Platone Epimeteo non è «colui che agisce dopo», ma colui che pensa dopo, dopo avere agito, è colui che agisce senza pensare, prima fa e poi pensa, mentre Prometeo è colui che pensa prima, che apprende prima e più velocemente. Insomma, Epimeteo è uno sciocco imprevidente.
Quando le stirpi mortali degli animali vennero al mondo, gli dei affidarono a Prometeo ed Epimeteo il compito di dotarle di quelle protezioni e abilità che consentissero loro di sopravvivere. Epimeteo chiese di poter fare la distribuzione da solo, ma siccome «non era troppo sapiente» (Platone, Protagora 322b), quando giunse a dotare gli uomini di abilità, si accorse di averle esaurite tutte, sicché il genere umano risultava del tutto indifeso in mezzo agli altri animali provvisti di zanne, artigli, ali, pellicce, velocità, forza, ecc. Mentre il fratello sciocco «si trovava in questa imbarazzante situazione, Prometeo viene a vedere la distribuzione e si accorge che tutte le razze degli altri animali erano convenientemente fornite di tutto, mentre l’uomo era nudo, scalzo, scoperto e inerme» (Platone, Protagora 322c). Prometeo, per rimediare alla stoltezza del fratello, ruba il fuoco e la sapienza tecnica ad Atena ed Efesto, e l’uomo, così dotato, intraprese a costruire altari e statue agli dei, sciolse la voce ed articolò parole, inventò abitazioni, vesti, calzari e trasse gli alimenti dalla terra.
Tutti possono governare la città
Ma gli uomini vivevano isolati e sparsi perché ancora non conoscevano l’arte del raccogliersi per vivere insieme fondando città, non possedevano cioè l’arte politica; per cui perivano preda degli altri animali. Allora Zeus, nel timore che la stirpe umana potesse estinguersi, mandò Ermes a portare agli uomini il rispetto e la giustizia perché fossero principi ordinatori di città. Ermes chiese a Zeus in quale modo doveva distribuire agli uomini la giustizia e il rispetto: solo ad alcuni, come era ad esempio distribuita l’arte medica, per cui alcuni medici bastano per tutti; oppure a tutti, di modo che tutti gli uomini potessero essere rispettosi e giusti? A tutti, devi distribuire rispetto e giustizia, rispose Zeus, perché solo così possono sorgere e mantenersi unite le città.
Vale qui la pena precisare che l’idea che l’arte politica fosse posseduta da tutti indistintamente e tutti avessero il diritto di governare la polis era opinione di Protagora il Sofista, non certo di Platone, il quale era profondamente convinto che l’arte politica e dunque il compito di guidare la città dovessero essere appannaggio di pochi, di quei pochi che avevano acquisito conoscenza e sapienza.
E dunque, tornando all’occasione di questa noterella, per integrare tecnica e politica forse non bisogna mettere insieme Prometeo ed Epimeteo, ma Prometeo e Zeus, essendo questi, nel mito platonico, all’origine della distribuzione egualitaria dell’arte politica, del rispetto e della giustizia.
1 Secondo Ivan Illich: «La storia dell’uomo moderno comincia con […] lo sforzo prometeico per creare istituzioni che blocchino l’azione dei mali scatenati. È la storia dell’affievolirsi della speranza e del sorgere delle aspettative. Speranza, nell’accezione più pregnante, indica una fede ottimistica nella bontà della natura, mentre aspettativa, nel senso in cui utilizzerò questo termine, è contare su risultati programmati e controllati dall’uomo. La speranza concentra il desiderio su una persona dalla quale attendiamo un dono. L’aspettativa attende soddisfazione da un processo prevedibile, il quale produrrà ciò che è nostro diritto pretendere. Oggi l’ethos prometeico ha messo in ombra la speranza.» (pp. 156-157)
Illich auspica l’avvento di “uomini epimeteici” che credono nella speranza più che nelle aspettative, disposti a condividere la scelta di Epimeteo che sposando Pandora sposò la Terra e capaci, per questo, di rovesciare i processi che hanno prodotto i disastri del potere tecnico.
Prometeo dunque è l’eroe delle aspettative, mentre Epimeteo è il patrono della speranza. Altri, ma non Illich, hanno osservato che Prometeo è anche l’eroe della responsabilità, perché viene chiamato a rispondere delle sue azioni e paga in modo atroce il prezzo della sua trasgressione e del suo aiuto agli uomini, nessuno invece chiama Epimeteo a rispondere e a pagare per le conseguenze della sua improntitudine, che aveva lasciato gli uomini inermi di fronte agli altri animali e che aveva permesso a Pandora di scatenare il male sulla Terra.
A me pare che la Sardegna abbia bisogno, oggi più che mai, di “uomini prometeici” capaci di risultati voluti e controllati, più che di “uomini epimeteici” in attesa del dono.
Bibliografia
- Platone, Protagora (traduzione di G. Reale), in Tutti gli scritti (a cura di Giovanni Reale), Rusconi, Milano 1997, pp. 806-859.
- Eschilo, Prometeo incatenato, in Tutte le tragedie (a cura di M. Centanni) pp. 287-375, Mondadori, Milano 1993.
- Esiodo, Opere (a cura di A. Colonna), Tea, Milano 1993.
- Ivan Illich, Descolarizzare la società, Mondadori, Milano 1978. Si veda il cap. 7, pp. 156-171, La rinascita dell’uomo epimeteico.
- Paolo Rossi, Paragone degli ingegni moderni e postmoderni, il Mulino, Bologna 2009.
■ Per leggere una presentazione complessiva del libro si veda I Sardi cosa vogliono?
■ Per leggere alcuni brani del libro si veda La coscienza infelice dei Sardi