Disumana è la potenza della fame: il Holodomor in Ucraina nel 1932-33 / Parte prima
di Vincenzo Medde
Tra l’autunno del 1932 e l’estate del 1933 quattro milioni di persone furono lasciate morire di fame in Ucraina e nel Kuban, una regione del Caucaso del Nord che apparteneva alla Repubblica russa ma che era abitata in prevalenza da Ucraini.
I responsabili di tale sterminio per fame furono Stalin e i suoi più stretti collaboratori (Vjačeslav Molotov, Lazar Kaganovič, Pavel Postyšev, Vsevolod Balickij), per il tramite di politiche economiche e sociali – industrializzazione accelerata, collettivizzazione forzata, liquidazione dei kulaki, requisizione armata dei prodotti agricoli – che, a partire dal 1928-29, avevano innescato un micidiale meccanismo mortifero.
La bonifica della piana di Terralba e la fondazione di Mussolinia-Arborea 1918-1932
di Vincenzo Medde
Nel 1918 nella piana di Terralba in provincia di Oristano ebbe inizio un grandioso progetto di ristrutturazione del territorio con l’obbiettivo non solo di risanare un terreno paludoso, malarico e quasi disabitato, ma anche di renderlo produttivo tramite opere integrate di canalizzazione, irrigazione, trasformazione agraria e colonizzazione. Il piano ambiva altresì a proporre un’organizzazione della produzione che fosse di modello per l’intera economia agraria della Sardegna. Promosso inizialmente da Felice Porcella, sindaco e deputato socialista di Terralba, tale progetto fu messo a punto e realizzato da Giulio Dolcetta, ingegnere vicentino, come proiezione sarda di un piano di riformismo meridionalistico che, a mezzo di sbarramenti, dighe, distribuzione dell'energia elettrica, dissodamenti, irrigazione, nuove tecniche colturali, avrebbe dovuto innescare un processo di sviluppo tale da colmare il dislivello tra regioni meridionali e settentrionali.
L’eco sgangherato del fascismo eterno
di Vincenzo Medde
I termini fascismo e fascista sono diventati d’uso generico e superficiale per esprimere radicale avversione nei confronti di persone, idee, atteggiamenti. Berlusconi faceva un uso analogo del termine comunista. Più diffuso ancora è l’impiego superficiale e meccanico dei termini medioevo e medievale a indicare strutture, mentalità, comportamenti che si giudicano arretrati o premoderni. Si tratta di usi linguistici popolari, frequenti e retorici, comprensibili magari in contesti emotivamente caratterizzati, poco formali, senza intenti analitici, ma scorretti e comunque da evitare nel contesto di una discussione seria e non di sola polemica.
Mito e realtà della rivoluzione russa in tre articoli di Gramsci
di Vincenzo Medde
Contadini russi
negli anni Venti
La rivoluzione in Russia del febbraio 1917 prima e poi l’insurrezione bolscevica e l’instaurazione di un governo rivoluzionario nel successivo ottobre ebbero subito un forte impatto sull’immaginario dei popoli impoveriti e devastati dalla guerra, suscitando insieme grandi speranze e grandi paure. Tanto più che quella russa prometteva o minacciava di essere solo la prima di una serie di rivoluzioni in Europa.
In Italia, Antonio Gramsci, il 29 aprile 1917 sul «Grido del Popolo», dedicò alla rivoluzione di febbraio – che «necessariamente deve sfociare nel regime socialista» – un articolo dai toni entusiastici e ingenuamente trionfalistici, Note sulla rivoluzione russa, che fondava sul proletario russo attese messianiche di rivolgimento epocale e mondiale, non solo dal punto di vista politico e sociale ma anche dal punto di vista “spirituale” e “morale”.
Abele Saba, deportato politico e partigiano oristanese
di Carla Cossu
Abele Saba è un “triangolo rosso”, colore destinato, nella iconografia dei lager, agli oppositori politici, agli antifascisti, ai partigiani, agli operai delle fabbriche che, fra il ‘43 e il ‘44, organizzarono gli scioperi nelle zone industrializzate del Piemonte, della Toscana e della Lombardia, in fabbriche come la Pirelli, l’Alfa Romeo, la Breda, l’Ercole Marelli, la Falck, la Innocenti, l’Isotta Fraschini, la Dalmine e altre.
Arte al femminile e femminilizzazione dell’arte. I casi di Edina Altara e Francesca Devoto
di Giuliana Altea
Attraverso i casi della decoratrice Edina Altara e della pittrice Francesca Devoto, questo intervento esamina due distinti – e cronologicamente successivi – modelli operativi aperti nel primo Novecento alle donne artiste. Così facendo tocca inevitabilmente un orizzonte di problemi proprio di tutta la cultura figurativa del periodo: dalle connotazioni di genere attribuite all’espressione artistica e alle idee sulla creatività femminile e maschile, alle identità pubbliche che artiste e artisti hanno di volta in volta costruito per sé stessi.
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